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Quando l’amore latita

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Quando ci si sposa, si crede che il legame che viene intessuto come una ragnatela, anno dopo anno, possa trattenere tutte le asperità che i caratteri presentano, smussando gli angoli delle intemperanze o rimbalzando gli umori illogici che i coniugi palesano l’uno all’altra. Sull’altare ci si guarda negli occhi ed il riflesso del proprio sentimento, sviluppato all’ennesima potenza, rassicura, perché le parole: “in salute ed in malattia, in ricchezza ed in povertà, finché morte non vi separi”, rendono il passo impegnativo, ma anche spaventoso.
Legarsi ad un uomo o ad una donna, condividerne i giorni e le notti, le decisioni importanti, anche decidere un semplice viaggio da fare, sconvolge la propria individualità.
La famiglia, istituzione solenne e sempre più maltrattata, è un impegno laborioso anche dal punto di vista psicologico. Il tempo passa e i difetti che da promessi sposi erano poca cosa, rendono ora suscettibili, irritabili.
Si comincia col voler analizzare i pensieri del compagno, si ha bisogno di conferme, che lo stress giornaliero rendono labili.
Un ti amo o una carezza diventano merce preziosa ed i musi lunghi una prerogativa ed un’esigenza. Se ci sono dei figli e quindi, più responsabilità, crescono anche le discussioni, le recriminazioni. Si arriva, infine, al silenzio, alla ricerca della propria interiorità. Chi ci rimette sono i bambini o gli adolescenti, che non hanno cagione di quello che accade, ma ne sono risucchiati come in un vortice di assuefatta, incredula burrasca degli affetti.
E sempre più frequentemente c’è la separazione. Di solito è il padre che si allontana; i ragazzi restano in casa con la madre che a seconda della fine del legame, può mantenere un rapporto amichevole o dare il via allo show delle arguzie, quali impedire che ci siano visite, che il marito vada a prendere i figli a scuola o possa andare in vacanza con loro. Creando malcontento e istillando nelle menti ancora malleabili della prole un rancore, cui accrescere il malinconico senso di rivalsa, a scapito di un rispetto delle regole, salutare e non conflittuale.
La raccolta dei cocci di un’idea andata in frantumi, sgretola la capacità di giustizia che permetterebbe di agevolare un sereno e apprezzabile gesto d’incontro. Eppure nel passato i nuclei familiari erano longevi.
Si finiva col trascorrere insieme il cinquantesimo anniversario. Si aveva comprensione dei sacrifici e non si sottovalutava il rispetto. Certo, la donna era meno impegnata all’esterno del proprio nucleo abitativo; per lo più si occupava delle faccende domestiche. L’uomo era un padre, marito ma soprattutto un uomo.
Oggi le donne, con l’emancipazione castrano i loro compagni, tendendo a gestire l’ambito delle loro scelte; non permettono intromissioni o intralci ai loro progetti.
Non sono un’imbonitrice della solidità a tutti i costi, anche a detrimento della felicità personale, però quando mia nonna narrava della sua vita passata, traspariva dalle sue parole la gioia che aveva provato nell’aiutare mio nonno.
Non ha mai sentito di essergli inferiore, si sentiva invece sua pari, ognuno svolgendo il compito che serviva a ricondurre la loro situazione verso una meta non deludente.
Ancora si tenevano per mano, nonostante i quasi ottant’anni e molte lune condivise. Quest’insegnamento è il più importante che ci sia. Il benessere comune si riscontra quando non c’è prevaricazione o assolutistica voglia di spazi da esplorare.
Non sempre può germogliare un seme se non lo si annaffia con la speranza e l’immaginazione. Ci si prova, si sbaglia, ci si rialza, ma non si getta la spugna. Dire ho sbagliato, a volte, dà più soddisfazione dell’aver ragione a tutti i costi.