Una delle più sorprendenti opere scritte sulle carte da gioco è del veneziano Giovanni Palazzi. Vissuto tra il Seicento e il Settecento, dedicò la sua lunga esistenza alla raccolta di memorie erudite intorno alla vita di importanti cardinali, papi, imperatori, re, dogi e dove lo stesso Palazzi decide di raccontare la storia della propria Venezia attraverso l’uso delle carte da gioco, intitolando la sua opera “Virtù in gioco” e dove l’autore ha progettato e realizzato il tutto, inserendo tantissime figure relative ad importanti personaggi del suo tempo.
Le principali parti del mazzo vedono gli assi trasformarsi in allegorie legate alla città di Venezia: in quello di spade si ha la celebrazione della nascita di Venezia nata dal mare, in quello di bastoni la giovane Venezia assalita da draghi e serpenti ma protetta dal Leone, in quello di coppe lo sposalizio del Doge con Venezia sul Bucintoro mentre l’asso di denari mostra Venezia, la Giusta, con la bilancia nella destra e la spada nella sinistra.
La cosa più interessante nel lavoro condotto da Palazzi è la ricerca nell’elaborazione del mazzo con la quale è arrivato ad assegnare la posizione delle donne nel mazzo dove ad ogni Re corrisponde una donna di alto rango o di elevata virtù o ancora, famosa per meriti inerenti la collettività. Il due di ogni seme, la carta più bassa del mazzo, celebra le capacità di tutte le donne venete, una sorta di omaggio dell’autore al mondo femminile nel suo complesso.
Nella sua progettazione delle carte, Palazzi parteggia decisamente per le donne e rimprovera gli scrittori veneti di averle spesso dimenticate nei loro scritti. Palazzi dimostra quale parte abbiano avuto le donne nel costruire la grandezza della Serenissima e quanto abbiano concorso a crearne i costumi con le loro doti e capacità. Una di queste è rappresentata nell’opera dal dieci di coppe Quirina Giustinian che, rimasta vedova, seppe crescere per lo Stato tre eccezionali figli: un soldato, Marco; un politico e letterato, Leonardo; un patriarca e santo, Lorenzo.
Ma, sempre nel Quattrocento, si apre anche una nuova visione del gioco, visto non più solo come gioco di presa ma anche come idea di taglio, da cui nasce il gioco della briscola.
A seguito della nascita dei giochi Decembrio, gioco italiano del millequattrocentoquindici, e Karnoeffel, gioco tedesco imparentato con l’altro italiano Imperatori, possiamo sostenere come la longevità di questi giochi abbia aiutato ad avere delle regole.
La formula del taglio che introduce un concetto di carte superiori nel gioco è definibile come il primo vero intervento e contributo nel mondo del gioco delle carte da parte degli europei. Le principali corti europee nel periodo settecentesco erano divenute vere e proprie capitali del gioco, in cui le carte da gioco costituivano una forma di idioma comune; il gioco era anche uno strumento per presentarsi nei salotti di corte, come passepartout per poter interagire con i signori di corte.
Anche le donne ambivano a conoscere il gioco delle carte per potersi emancipare e utilizzare il gioco come strumento di seduzione.
Un periodo tutto speciale, che segna alcuni cambiamenti nel gioco delle carte, è da attribuirsi alla rivoluzione in Francia che pone le basi per il rovesciamento della concezione simbolica delle carte: è questo, infatti, il periodo in cui i regnanti finiscono ghigliottinati ed è così che la Repubblica inizia la sua lunga strada. E’ necessario allora cambiare le carte da gioco, poiché i simboli devono servire a far apprendere alla gente che la figura del re è scomparsa non solo fisicamente, ma anche nel profondo dell’animo. Si tratta perciò di un’operazione altamente ideologica che viene realizzata grazie proprio al gioco.
Due noti personaggi dell’epoca eseguono un’operazione radicale producendo due mazzi di carte datati millesettecentonovantatre, anno in cui Luigi XVI viene condannato a morte, e così Gayant e Saint–Simon realizzano una simbologia che sostituisce i fanti con i soldati della Repubblica, simbolo di un nuovo ordine, le regine vengono sostituite dalle virtù che sono indicate attraverso la forza, rappresentata dai fiori, la temperanza dai quadri, la prudenza dalle picche, la giustizia dai cuori ed infine i re sono sostituiti dai filosofi. Così su ispirazione illuminista Gayant attribuisce ai filosofi il simbolo della ragione, e con essa il lume considerato necessario ad assicurare la felicità dei cittadini; i filosofi del tempo erano Rousseau, che rappresenta il sostenitore della democrazia diretta con il seme dei fiori, Voltaire, che rappresenta la cultura e la ragione con il seme dei quadri, La Fontaine, che incarna la fantasia con il seme dei cuori, e Molière che rappresenta l’ironia, il buon umore.
Contemporaneamente Saint-Simon compone un altro mazzo di carte che vuole essere un ulteriore sradicamento dal passato sostenendo un principio chiaro: le idee della rivoluzione devono essere inserite nelle carte attraverso i principi come l’uguaglianza che sostituisce la figura dei fanti, la libertà che sostituisce le regine e che ogni seme attribuisce rispettivamente a lavoro, stampa, culto, e matrimonio ed il genio che sostituisce la figura del re e che per Simon è rappresentato dal commercio, dalle arti, dalla guerra e dalla pace e parallelamente ad ogni seme associa un’idea di uguaglianza, dove i quadri rappresentano il principio di uguaglianza tra razze, le picche, la condizione sociale ed il rango, i cuori rappresentano l’uguaglianza nei doveri, e i fiori quello nei diritti. Il ruolo degli assi, infine, assume una posizione chiave ossia di memoria sui principi già citati dalle altre carte attraverso la scritta “Repubblica Francese” racchiusa da una ghirlanda per tutti gli assi e che sancisce il rispetto per la democrazia francese.
Fino al Settecento, quindi, il gioco è in evoluzione e diventa uno strumento di protesta, di svago, di libertà, di emancipazione, di uguaglianza per conquistare nuovi orizzonti.
Tra i giochi che rappresentano di più il periodo vi è certamente il Faraone, gioco d’azzardo, nel quale ogni giocatore punta su una carta che verrà potenzialmente estratta dal banco, se perde, il giocatore perde il denaro che ha puntato su quella carta e la vince il giocatore del banco. Tra le tecniche di gioco del Faraone si cita la martingala, cioè il puntare ogni volta cifre più alte per recuperare le perdite precedenti.
Si dice che alla corte francese la regina Maria Antonietta fosse una delle giocatrici più accanite del Faraone e che a causa di questo abbia perso molto denaro all’insaputa del consorte Luigi XVI Re di Francia.
Altro salotto di scommesse molto famoso in quel periodo era il Ridotto o più noto come Foyer, casinò di Venezia frequentato da nobili, borghesi di alto rango, intellettuali, dove il gioco era visto come la più alta espressione del divertimento, di socializzazione e per il quale valeva la pena rischiare e perdere.
Ma ben presto le pesanti perdite che la nobiltà dovette subire portarono anche a conseguenze inaspettate come la perdita di potere politico che aveva messo ben presto nei guai buona parte dell’aristocrazia.
Nel 1774 ne fu ordinata la soppressione, ma il gioco ormai era dilagato in altri salotti divenendo così un passatempo che si poteva praticare ovunque, nei salotti privati, nei circoli, nei caffè, nelle case delle cortigiane.
Tra i giochi che impazzano dal XVII secolo in poi troviamo anche il biribiss, gioco regolamentato e rappresentato anche in dipinti, che si può definire come l’antenato della roulette, nel quale si procede con l’estrazione delle palline contenute in un sacchetto e contemporaneamente vi è un’unica pallina contenuta nella roulette che gira e dalla quale si estrae il numero vincente.
Altro gioco molto popolare è quello del Picchetto che rientra nei giochi di antica tradizione medievale e che si rifà alla Ronfa Francese. Si parte da un mazzo di 54 carte francesi e prevede due giocatori. Il gioco rivela una fase di accomodo in cui il giocatore come nel poker, avendo dodici carte di partenza può scartare le carte che ritiene inutili e sostituirle con altre; nella fase dichiarativa invece il giocatore rivela quante più carte possiede recanti lo stesso seme, il punto viene segnato dal giocatore che possiede più carte di uno stesso seme.
Altro importante gioco che si era diffuso largamente è la Primiera, antenato del poker che si gioca con quattro carte, il gioco può essere condotto tra i due e gli otto giocatori. Dopo aver versato, ogni giocatore, una posta di gioco, si può cominciare. Lo scopo del gioco sta nel formare il maggior numero di combinazioni dalle quali si ottengono in conseguenza dei punti. I giocatori possono formare combinazioni, come quattro carte dello stesso seme oppure tre carte i cui valori sono in scala, come il sei, il sette e l’asso oppure la combinazione della primiera che prevede quattro carte di semi diversi.
Tra i giochi che possiamo definire anche tradizionalmente italiani rintracciamo il Tressette, la cui origine è probabilmente spagnola e che da noi si è principalmente diffusa al Sud. Dello stesso gioco esistono numerose varianti, ma le varianti nascono in seguito. Si gioca con un mazzo da quaranta carte, si può giocare in coppia e in totale sono quattro giocatori. La carta che possiede il valore più alto è il tre, seguono il due, l’asso, il re, e poi tutte le altre fino al quattro. Si distribuiscono dieci carte ad ogni giocatore e se nessun giocatore possiede un asso o tre figure il colpo si annulla e si redistribuiscono le carte. Lo scopo del gioco è di fare quante più prese possibili, badando che le prese contengano carte di valore, quel che conta è infatti il punteggio finale.
Uno dei personaggi di questo periodo più controversi e interessanti è senza dubbio Giacomo Casanova, il quale oltre a frequentare i salotti più importanti, amava raccontare nei suoi libri, celebre il suo Le memorie, confidenze e descrizioni di giochi o situazioni di gioco, dimostrando quanta capacità, abilità e conoscenza possedeva sull’argomento. Cita ben 22 giochi diversi tra cui una memorabile partita a Picchetto durata ben 42 ore, dove i due sfidanti si confrontarono in una gara all’ultimo sangue. Si dice inoltre che nel 1765 comperò una contadinella per farsi predire il futuro attraverso i Tarocchi, a testimonianza del fatto che le carte erano usate in più ambiti della vita e in diversi momenti.