E’ una scoperta, quella di un gruppo di ricercatori dell’ Università Cattolica di Roma, che apre nuovi e sterminati orizzonti per la prevenzione e la cura del diabete. Ormai la conosciamo tutti questa malattia cronica, il diabete, che è caratterizzata dalla presenza di elevati livelli di glucosio nel sangue. E tutti siamo consapevoli delle spiacevoli e tragiche conseguenze per chi ne è affetto. Ma la scoperta effettuata dal team di scienziati guidati dai prof. Giovambattista Pani e Tommaso Galeotti ci fa ben sperare, a partire già dall’immediato futuro.
I ricercatori dell’Istituto di patologia generale della Facoltà di medicina e chirurgia dell’ Università Cattolica, dopo aver individuato il gene in questione, intervenendo su delle cavie di laboratorio, lo hanno praticamente “spento”, impedendo così al gruppo di topolini “trattati” di ammalarsi di diabete.
Come ha spiegato il prof. Pani, gli studi effettuati in laboratorio hanno dimostrato che i topolini affetti da obesità, in cui il gene denominato p66shcA, è stato disattivato “sono molto meno suscettibili allo sviluppo della malattia rispetto a cavie extralarge che però hanno il gene funzionante”. In pratica, con lo spegnimento del gene, si mette in moto una sorta di raggiro che “imbroglia” le cellule e le trae in inganno facendo in modo che percepiscano una minore quantità di cibo rispetto a quella che effettivamente viene ingurgitata. Quindi, nel momento in cui questa proteina, il p66shcA, viene resa inerte, si potrebbe prevenire l’insorgenza della malattia. E’ d’obbligo l’uso del condizionale, prima di tutto perché si è ancora in fase di ricerca in laboratorio ed i primi risultati sono stati testati su delle cavie; in secondo luogo perché è lo stesso professor Pani a precisare che si tratta di “un’applicazione futuribile ma non immediata”. La scoperta, però apre nuovi spiragli anche in ambito farmacologico. Conoscere con precisione che quel dato gene può influire sullo sviluppo della malattia, permette che gli studi si concentrino soprattutto in quella direzione, consentendo così di raggiungere in minor tempo dei risultati apprezzabili. E a dare supporto a queste considerazioni è lo stesso prof. Pani che afferma:” (…) esistono già degli inibitori di p66 in corso di valutazione pre-clinica e il nostro studio continuerà anche in quella direzione”.
Comments are closed.
Ho letto l'articolo. Credo di aver capito che l'inibizione di questo gene, p66, potrebbe giovare eventualmente soltanto chi è malato di diabete di tipo II en non invece, per chi è affetto del dibaete Mellito. Per il diabete giovanile cosa si intravede invece? Ho letto di un possibile vaccino o di cellule staminale, ma cosa c'è di concreto per un prossimo futuro? grazie.