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Il caso Haven e il pesce col cancro

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50mila tonnellate di petrolio giacciono sui fondali italiani tra Genova e Savona.

Ne ha parlato “Report” in merito al disastro della petroliera Haven. Riportare a galla una verità scottante, sepolta nel mar Ligure da circa vent’anni, in due ore di programma è difficile anche per Milena Gabbanelli.

La superpetroliera Haven, l’11 aprile del 1991, affondò davanti alle coste di Arenzano. Gli esperti stimarono il danno ecologico in duemila miliardi di lire. L’Italia ne ricevette 117 come risarcimento e decise di impiegarne 32 per bonificare il mare e 60 per rimborsare i Comuni del litorale.

Nella realtà, stando all’inchiesta di “Report“, di miliardi ne sono stati spesi solo 16 (circa 8 milioni di euro) per bonificare le acque e certificare, poi, che erano pulite. Le autorità ritennero che non si trattasse di un grave disastro ecologico.

Eppure, nel 1995, a quattro anni dal disastro della Haven, i ricercatori dell’Istituto per la ricerca applicata al mare, incaricati dal ministero dell’Ambiente di preparare un piano per la bonifica, si calarono con un batiscafo fino a 700 metri. Videro distese interminabili di catrame, pesci negli anfratti di bitume. Tutto ciò non venne tenuto in considerazione e gli altri 8 milioni di euro destinati a disinquinare il mare furono impiegati, in parte, per mettere in sicurezza la Stoppani, un’azienda che aveva inquinato di cromo e rame le acque, e in parte per la mobilità dei lavoratori.

Ancora oggi i pescatori pescano scampi ripuliti di catrame.

Intorno al relitto c’è una zona di pesca vietata. Qualcuno ha violato il divieto e ha constatato che il petrolio c’è ancora sotto forma di catrame. Nella rete di pesca è possibile vedere due terzi di petrolio, un terzo di pesce. Una simile melma inquina le acque e fa ammalare i pesci di cancro. Noi consumatori, ignari di tutto ciò, portiamo sulle nostre tavole pesci al catrame.

Il disastro dell’Haven è rimasto senza colpevoli. La compagnia greco-cipriota, protagonista della sciagura, è stata assolta dopo aver addossato le responsabilità al capitano, morto nell’incidente. Sappiamo che nel maggio scorso la magistratura ha messo sotto inchiesta, con accuse che vanno dall’abuso di atti d’ufficio alla corruzione, quindici persone tutte dirigenti dell’Arpal, l’agenzia per la protezione ambientale della Liguria.

Questo, evidentemente,  non basta a fare giustizia per anni di nefandezze, negligenze ed insabbiamenti che si sono ripercosse al solito sugli ignari cittadini. Il peggio, dice Ranucci, autore del servizio andato in onda su rai tre la scorsa domenica, è che la storia della Louisiana, della marea nera, potrebbe ripetersi in Italia. Le domande per trivellazioni in cerca di greggio vengono da società con sedi fantasma, senza uno studio attento dei posti e senza neppure prendere in considerazione che, dove si vuole cercare gas o petrolio, c’è un vulcano in attività.