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Il massacro di Scio … di Eugene Delacroix, padre del romanticismo francese

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Il massacro di Scio, uno dei più famosi dipinti di Eugene Delacroix, padre del romanticismo francese, fu fortemente criticato tanto da essere giudicato “il massacro della pittura” dall’artista Antoine-Jean Gros. Soggetto dell’opera un gruppo di famiglie greche che, dopo l’incursione dei turchi, sono in attesa della morte o della schiavitù.
Quanto rappresentato è ispirato da un episodio di cronaca contemporaneo all’artista, affrontato dallo stesso in più momenti nelle sue opere: dimostrazione del suo sostegno alla causa greca per l’indipendenza dai turchi. “Simpatia” essenzialmente dovuta al forte sentimento di libertà regnante nell’animo dei francesi. L’opera non fu subito apprezzata perché rappresentava una novità nel panorama artistico della Francia ottocentesca: si allontanava, infatti, vistosamente dallo stile neoclassico, allora dominante, e in particolare da quello davidiano, autore del manifesto neoclassico col Giuramento degli Orazi .
L’opera sembrò disseminata di errori: il punto nevralgico del racconto scomparso, la composizione sbilanciata e, infine, le immagini non sembravano entrare direttamente nella composizione ma risultavano tagliate lungo i margini. Prestito quest’ultimo del Caravaggio col suo dipinto “La Flagellazione di Cristo”, ospitato oggi al Museo di Capodimonte (Napoli), dove, per la prima volta, è presente questa idea che confluirà nel barocco.
Nel dipinto non ci sono regole, non si basa su una struttura, è il caos a prendere il sopravvento. L’artista ritornò più volte sulla tela dopo il suo fondamentale viaggio a Londra del 1825: qui conobbe Constable, autore di cieli tormentati e di studi di nuvole, e aggiornò il cielo proprio sull’esempio del grande paesaggista.
In Delacroix spesso si riscontrano precise citazioni: in questo caso si rifà a Rubens, pittore fiammingo, di cui si considera allo stesso tempo suo erede, e a Tiziano, maestro del colore tonale.

Affronterà di nuovo questo soggetto di storia contemporanea con “La Grecia morente sulle rovine di Missolungi”, in cui raffigura una donna in segno di implorazione, atto che precede un’orribile scena: il suicidio dei greci che preferiscono togliersi la vita e distruggere la propria città piuttosto che consegnarsi al nemico. Il dipinto vuole celebrare l’ideale di libertà, caro all’artista, e ricordare allo stesso tempo la gente di Missolungi .

Contributo di Lucia Picardo