Molti sono gli autocrati che nel mondo opprimono i popoli con regimi totalitari, che non permettono libertà di pensiero, di parola o d’azione, che rendono schiavi nella mente i loro sottoposti, istigandoli al cieco rispetto delle regole imposte. Ne è un esempio ora anche la situazione libica, portata agli onori della cronaca dal colonnello Gheddafi, despota intollerabile, che dopo anni di quieto autocontrollo, ha con modi dittatoriali sparso sangue sul suo popolo, su quelli che, manifestando pacificamente, sono stati tacitati con la violenza.
Tra questi tiranni, Osama Bin Laden, il terrorista islamico che dieci anni fa attaccò le Torri Gemelle provocando quel massacro che, ancora oggi, fa rabbrividire quando le immagini scorrono in tivù. Mi riferisco ai due aerei che vanno a schiantarsi contro i grattaceli, le famose Twin Towers, di quelle persone che si lanciarono dalle finestre spinte dalla disperazione o di quelle che continuavano a piangere e ad urlare dai piani superiori al punto d’impatto, perché sapevano che non era dato loro modo di salvarsi, che non avrebbero potuto salutare le persone care e dirgli addio prima della fine.
La paura occidentale di cui lui era il simbolo è stata vigile per questo decennio, che ora si chiude con il successo militare statunitense riportato dal presidente Obama, che potrà utilizzare quello che è avvenuto per proseguire il dialogo col mondo arabo. E’ interessante verificare che sia stato proprio questo presidente e non Bush junior a portare a compimento ciò che da tempo veniva auspicato. Bush che aveva promesso agli americani di riportare la fiducia nella nazione, ma ha solo garantito anni di resa al furore degli attacchi contro i soldati di stanza nei Paesi islamici.
Il fondatore di Al Qaeda, fautore di attentati spettacolari, è stato la causa della guerra in Afghanistan, della guerra in Iraq, dell’incubo del terrorismo. E’ stato giustiziato nel cuore del suo territorio, a settanta chilometri da Islamabad, tra il primo e il due maggio, da militari che erano stati inviati lì dal paese preso da lui di mira nei suoi simboli del potere. In America una folla festosa è scesa a far festa per le strade, con bandiere. Il rifugio di Osama non era una grotta ma una fortezza di muri e metallo, dove non erano presenti apparecchiature che potessero essere rilevate. Nel conflitto a fuoco oltre il capo dei talebani, sono morti anche suo figlio, due uomini ed una donna. Caricato su un elicottero, il corpo di Bin Laden è stato sottoposto alla prova del dna e poi gettato in mare, visto che nessuno dei paesi islamici ha accettato di tenere le spoglie. Negli anni dopo l’undici settembre, la sua rete aveva perso efficacia, ma il fanatismo era vivo. Se fosse morto di malattia o, semplicemente sparito, avrebbe assunto un’aura di immortalità, alimentando il mito. Un fantasma che nella sua evanescenza si sarebbe rivelato più tangibile che mai.
Uccidendolo lo hanno reso mortale e, quindi, ora non esiste più.
L’epoca in cui si vive, ci insegna, che la visibilità ci rende trionfatori, ma è uno sbaglio. Osama si era elevato come una figura intangibile e proprio per questo onnipresente.
Il suo credere, la sua visione erano distruttivi: speriamo possano andare in disfacimento così come ora andranno i suoi resti.