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Get Me Out of Here! Quando teatro e televisione si incontrano

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Un’isola misteriosa, una barca senza fondo, un mago che non pratica la sua arte da quattrocento anni e… i personaggi delle opere shakespeariane. No, non è un sogno, e, tranquilli, nemmeno un incubo: è semplicemente teatro, il luogo in cui, grazie alla nostra immaginazione, tutto diventa possibile. E in questo spettacolo le sorprese non mancano di certo.

I’m a Shakespearian Character, Get me out of Here!, questo il titolo, è l’ultima produzione di Charioteer Theatre, una compagnia teatrale con sede in Scozia, nel Moray per l’esattezza, fondata nel 2004 da Laura Pasetti, regista e autrice di questa commedia, il cui tour nelle Highlands scozzesi si è da poco concluso lasciando entusiasti e piacevolmente stupiti tutti coloro che l’hanno visto. Già dal titolo si capisce che lo spettacolo non è convenzionale: infatti, I’m a Shakespearian Character, Get Me Out of Here! riprende I’m a Celebrity, Get Me Out of Here!, l’equivalente inglese della nostra Isola dei Famosi. La domanda, a questo punto, può essere una sola: come può Shakespeare avere qualcosa a che fare con un reality show? A quanto pare può.

Come, infatti, nell’Isola dei Famosi, i protagonisti vengono completamente smascherati rivelandoci quello che realmente sono, così i personaggi Shakespeariani si confessano, rivelano le loro emozioni, ci fanno scoprire che sono come noi, sono noi. Ma in un mondo in cui il numero di persone che va a teatro è in continua diminuzione, bisogna che Shakespeare faccia un passo verso di noi, si adegui ai nostri metodi di comunicazione affinché noi possiamo capirlo, ed è per questo che il teatro improvvisamente diventa uno studio televisivo, lo spettacolo diventa un reality show con tanto di presentatore, giuria e valletta con i tacchi; ma questa volta i partecipanti sono loro: Puck, Amleto e Lady Macbeth. Prospero, nel ruolo di presentatore, spiega di aver confinato i personaggi Shakespeariani su un’isola perché è convinto che il mondo moderno non possa più capirli e apprezzarli, ma visto che questi tre, sicuri di avere ancora qualcosa da dare all’umanità, su quell’isola non ci vogliono proprio stare, li ha portati qui, davanti agli occhi di noi spettatori perché possano convincerci che la loro tragedia o la loro commedia non deve essere dimenticata. Ma, come vogliono le regole del gioco, solo uno di loro potrà rimanere, e la scelta dipenderà da noi.

I protagonisti alternano il linguaggio moderno con quello Shakespeariano, citano versi della loro opera, o a volte di altre opere, nominano altri personaggi, come a ribadire costantemente che nonostante stiano apparentemente difendendo se stessi, quello che vogliono salvare sono tutti i lavori del loro autore, perché tutti hanno qualcosa da insegnare, tutti riguardano, in realtà, noi. Dopo una breve intervista recitano una scena della loro tragedia o commedia, e improvvisamente le parole scritte quattrocento anni fa suonano straordinariamente chiare e familiari, capiamo il perché dei loro comportamenti, i loro sentimenti, e rimaniamo stupiti scoprendo che sono identici ai nostri.

La prima a parlare è Lady Macbeth, coraggiosa, audace e affascinante: mentre parla al pubblico tocca le corde più sensibili del nostro animo, parla dei nostri sogni, di quelli che non abbiamo mai avuto il coraggio di realizzare, che abbiamo messo nei buoni propositi di non si sa bene quale anno nuovo; parla agli spettatori guardandoli negli occhi con l’orgoglio di chi ha avuto il coraggio di provare a cambiare la propria vita e, pur dovendone pagare le conseguenze, può essere fiera di sé come molti di noi non saranno mai.

Dopo di lei, Amleto ci apre il vaso dei suoi dubbi, ci contagia con le sue lacrime. Quando guarda uno spettatore negli occhi chiedendogli di completare uno dei versi più famosi di Shakespeare “to be or…not to be” anche chi non è interpellato non può fare a meno di rispondere sottovoce o nella sua mente; la sua coscienza è la nostra coscienza, le sue domande le nostre e ci viene il dubbio che anche l’eterna indecisione, che magari avevamo tanto criticato leggendo il testo, è la stessa che avrebbe assalito noi se fossimo stati al suo posto.

E poi arriva un tornado, le regole del gioco vengono sconvolte, basta domande, basta risposte, basta tristezza: Puck parla d’amore. E sull’amore cosa c’è da dire? A volte è talmente complicato che ancora oggi viene il dubbio che non ci sia davvero un esserino fatato a metterci lo zampino! La storia di Demetrio, Lisandro, Hermia e Elena potrebbe essere tranquillamente tratta da una di quelle soap opera che amiamo guardare, quindi non c’è da meravigliarsi che ci coinvolga tanto; magari ci siamo trovati in un quadrato amoroso simile oppure abbiamo agito come il Puck della situazione, per cui sappiamo perfettamente quanto si sia divertito!

Ma la sintonia che si crea tra spettatore e personaggio si realizza soprattutto per l’interazione, senza di cui gran parte della forza dello spettacolo andrebbe persa: il muro tra stage e audience si rompe, non si capisce più chi sia sotto i riflettori e chi nell’ombra a guardare, vedere un personaggio Shakespeariano che ti cammina a venti centimetri, parla direttamente con te o ti prende per mano inizialmente spaventa (forse è vero, come dice Prospero, che la televisione ci ha fatto perdere l’abitudine ai contatti umani?), poi ti incuriosisce, e infine ti coinvolge tanto che, al momento della votazione finale non puoi fare a meno di urlare il nome del tuo preferito.

I commenti degli spettatori non fanno altro che confermare l’alta qualità dello spettacolo, che grazie a un testo ben scritto, un cast eccezionale, ma soprattutto un’idea geniale alla base, riesce a far apprendere in un’ora e un quarto più di quanto facciano anni di scuola: questo credo sia sintomo di un malfunzionamento dei metodi di insegnamento, che spesso affrontano i testi in modo superficiale, imponendo allo studente di studiare senza capire il senso di quello che legge e quindi ottiene come unico risultato di annoiare e fare allontanare progressivamente dalla cultura, dal teatro e anche un po’ da se stessi. Ma penso che questo spettacolo possa dare una lezione anche alla televisione: è infatti la prova che i reality show, fatti in maniera intelligente, con protagonisti che hanno qualcosa da dire e da insegnare, potrebbero diventare un mezzo per trasmettere cultura anziché modelli sbagliati.

È uno spettacolo consigliato a tutti, ma soprattutto ai ragazzi in età scolare che avranno la possibilità di vedere il vero volto di Shakespeare a cui magari si appassioneranno. Più che gli applausi, le risate e le recensioni positive, credo che il successo di questo Get Me Out of Here! si misuri con il numero di persone che, dopo averlo visto, sceglieranno di spegnere la televisione e aprire un libro o andare a teatro.