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La caduta degli dei. Roger Federer e il declino dei campioni

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In un articolo sul New York Times dell’agosto 2006, un celebre intellettuale americano sosteneva che vedere giocare Roger Federer era “una esperienza religiosa”, un po’ come assistere ad una cerimonia nella quale i rituali vengono compiuti nella forma e nella sincronia perfetta. Per un amante del tennis è letteralmente impossibile mettere in dubbio il carattere assoluto di questa affermazione, del resto il giocatore Svizzero ha incantato i palcoscenici del tennis internazionale con un modo di giocare e stare in campo che per grazia e perfezione sembrava oltrepassare i limiti delle capacità umane. Quando poi la tecnica e la bellezza estetica dei gesti si uniscono ad una incredibile efficacia sul piano dei risultati portandoti a vincere praticamente tutto, è normale nello sport venire proiettati in una dimensione assoluta dove solo i veri fuoriclasse possono accedere e segnare per sempre con la loro presenza.

Così è stato per Maradona, così per Jordan e altri grandi campioni. Il problema è che nel tennis, essendo uno sport individuale, la fase calante di un atleta non può essere almeno in parte adombrata dalle dinamiche collettive della squadra, e per tale motivo quando i risultati cominciano a venir meno a seguito di una naturale perdita della condizione fisica, il tennista si trova nudo in mezzo all’arena ad incassare la delusione e le critiche del pubblico. Ora per un giocatore comune questo è normale, ma per colui che veniva considerato prima una sorta di divinità lo è meno.

Naturalmente se noi tutti fossimo più intelligenti nel comprendere che anche un mito prima o poi incontra il suo personale “Autunno”, questo non ci sorprenderebbe più di tanto. La verità è che finché il mito scende in campo noi lo vorremmo vedere trionfare, perché  accettare di assistere all’incarnazione del “tennis” sconfitta e logorata dalla fatica ci fa male. A questo punto possiamo solo rispettare la scelta di un grande campione, che per l’amore del suo sport rischia di uscire di scena come un “mortale” e con grande umiltà ci fa capire che anche i più grandi, una volta entrati nella storia, possono cadere.