Quando un giocatore inizia a perdere con costanza da un altro nel tennis si parla sempre più spesso di blocco mentale, problema mentale. Lo si scrive di Roger Federer nei confronti dello spagnolo e si chiama in causa la stessa motivazione per spiegare le sconfitte di Nadal con Novak Djokovic dal momento in cui, nel 2011, il serbo ha iniziato a inanellare vittorie quando ha Rafa dall’altra parte del campo. A volte sono gli stessi giocatori a fornire questo tipo di spiegazione, come è possibile leggere nelle interviste rilasciate in questi giorni dallo spagnolo, che dopo la sconfitta a Wimbledon cerca una soluzione per contrastare il serbo.
Risolvere l’approccio psicologico all’intera competizione o ad alcuni momenti di essa è per tutti gli atleti fondamentale, ma valutare in modo semplicistico le cause di un calo del proprio gioco può essere controproducente. Non escludendo a priori che in alcuni casi possano esserci motivazioni esclusivamente psicologiche ritengo che nella maggior parte delle circostanze le indecisioni, le debolezze, e i dubbi che rendono meno efficaci il gesto atletico nascano da un aspetto tecnico e atletico, ma sopratutto da una realtà che si è lentamente fatta strada prima nel punteggio (cronometro o metro) e poi anche nella mente dell’atleta.
Per capire meglio questo aspetto è necessario prendere in considerazione uno psicologo brillante per quanto sia poco conosciuto. L’ungherese Mihaly Csikszentmihalyi che è stato uno dei primi a studiare quello che comunemente viene definito in inglese “the zone” o “flow”, o in italiano “stato di grazia”.
Ogni aspetto della vita di un uomo, compreso quello sportivo, può essere affrontato con diverse condizioni emotive che possono variare dall’ansia alla noia passando per altre sfumature. Lo stato psicologico ed emotivo con cui affrontiamo un compito dipende dalla percezione che abbiamo delle nostre capacità in relazione all’attività che siamo chiamati a svolgere. Questa percezione a sua volta è il frutto dell’esperienza acquisita, del ricordo, dei successi e delle sconfitte passate, della abilità tecniche e atletiche, nel caso dello sport, che siamo consapevoli di essere riusciti a rendere nostre.
Ma la vita è fatta anche di cambiamenti, di persone e altri atleti che imparano e nel caso del tennis si confrontano direttamente con noi. Così quello che eravamo abituati ad affrontare in sicurezza un giorno potrebbe richiedere abilità che ancora riteniamo, anche se inconsciament, di non possedere. Tale situazione potrebbe indurre preoccupazione, o ansia, così come la noia è sempre dietro l’angolo quando il compito è ritenuto troppo semplice. Il grafico illustra bene a livello indicativo quali sono i principali stati emotivi che dovremmo affrontare in relazione al rapporto tra sfida (compito) e le proprie abilità in qualunque attività della vita che sia lavorativa, di svago o sportiva.
Cosa è accaduto a Nadal? Come è cambiato Djokovic? E perchè?
Nel corso dell’ultimo anno il serbo ha raggiunto una forma fisica e una serie di abilità tecniche che con le sue vittorie gli hanno permesso di ritenere la sfida Nadal alla sua portata, anche se il compito è considerato notevole Nole ha una percezione altrettanto elevata e realistica delle sue abilità. Questa condizione gli consente di raggiungere uno stato di massima concentrazione sulla partita perché sa che solo con una eccelsa prestazione può raggiungere la vittoria alla sua portata. Il servizio è notevolmente migliorato; il rovescio bimane, se giocato sempre in posizione, rende inefficace il dritto carico di rotazione di Rafa; il proprio dritto è un’ arma dirompente sopratutto sul rovescio dello spagnolo che spesso finisce per perdere campo dalla parte del dritto per evitare di usarlo. La forma fisica consente a Novak di scambiare ad un livello che rende vani i famosi recuperi di Rafa.
Al contrario i risultati e il gioco suggeriscono a Nadal che ci sono evidenti difficoltà nell’affrontare Nole. Il dritto non lo mette in difficoltà più di tanto, con il rovescio non riesce a comandare lo scambio; a rete non si sente sicurissimo, è costretto a troppi recuperi, a rischiare oltre le sue abitudini per comandare lo scambio. Il rovescio in back di recupero o di attesa si alza troppo e permette a Novak di avere tempo per colpire, e a volte di mettere i piedi all’interno della riga di fondo. La realtà tecnico atletica che è maturata nel corso dell’anno ha avuto come risultato quello di far giocare in ansia (alto a sinistra dello schema) i punti decisivi allo spagnolo, che così finisce per aumentare le proprie possibilità di perderli.
Come si torna alla vittoria?
Non è facile, lo testimonia l’altra rivalità quella tra Federer e Nadal. Spesso quando si instaurano certe dinamiche tendono a persistere nel tempo, per modificarle è necessario un processo lento, graduale, che non può prescindere dall’acquisizione di nuove anche se infinitesimali capacità tecniche, soluzioni tattiche. Affinare il gioco di volo, migliorare la profondità dei colpi, acquisire un back più ficcante, un uso migliore della palla corta, studiare schemi consolidati in allenamento per i punti importanti, e poi vedere se tutto questo porta dei risultati, perché solo una vittoria ha la forza di cambiare la realtà. Vedremo su cosa punterà lo staff dello spagnolo per sbloccare la situazione. Federer non sembra esserci riuscito, per ora. Il futuro dirà se il cambiamento è alla portata di Rafael Nadal. Era alla portata di Djokovic ora lo sappiamo.