Siamo sul finire di un luglio più piovoso del solito che sembra averci portato direttamente a metà settembre, ma è il calendario a ricordare che il mese di agosto prevede due master 1000 (Montreal e Cincinnati) e inizia con il torneo 500 di Washington.
Il 29, con la particolare tradizione che vuole gli slam a cavallo di due mesi, inizia l’ultima prova dei quattro tornei dello slam: lo US Open.
La preparazione atletica è invece presumibilmente già cominciata in un clima forse meno spumeggiante di quello che ha visto Djokovic dominare la prima parte della stagione fino a Wimbledon con l’eccezione del Roland Garros, in cui Rafael Nadal si è guadagnato la sesta coppa dei moschettieri.
Settembre è un mese malinconico, si sa, la quarta prova dello slam si avvicina un po’ lentamente come se risentisse della prima parte della stagione sin troppo carica di avvenimenti.
John McEnroe è salvo, almeno lo è il suo record grazie alla semifinale di Roger Federer che sconfisse Nole chiudendo con un ace.
Continuo a pensare che se i due avessero scambiato Nole avrebbe vinto il punto, ma l’ipotesi non è verificabile. Quel giorno di giugno qualche attimo prima pensai che serviva un ace e Roger non si sbagliò. Due giorni dopo perse la finale da Nadal.
Non c’era da aspettarsi qualcosa di diverso, dopotutto Roger perde molto spesso da Nadal e lo spagnolo ha iniziato a perdere da Djokovic, anche lui di frequente. D’altronde Novak, quest’anno, non ha mai perso da nessuno se si esclude Federer. Chi perde invece da tutti, almeno nelle prove dello slam, è Andy Murray il quale negli Stati Uniti speriamo riesca a rimanere un po’ lontano dai riflettori inglesi che cercano, affannati, l’emulo di Fred Perry. Il resto sono ipotesi anche se cambia la superficie.
Ora c’è un mese di estate americana e in questo mese si affineranno i colpi e le soluzioni per il torneo più chiassoso del mondo del tennis. Non ci saranno record appariscenti, sembra che tutto si sia già consumato, quest’anno. Meno clamore, meno attese, meno adrenalina. Roger non può raggiungere Bill Tilden e se arrivasse a diciassette titoli slam supererebbe solo Federer. Rafa ha già vinto lo Us Open, Djokovic ha già fatto tanto scrivere di sé e vincere per la prima volta un torneo dello slam è solo un record personale. Murray se dovesse vincere lo farebbe solo per se stesso e gli inglesi, scozzesi non esclusi.
Perry ne ha vinti tre di Us Open, sarebbe un record relativo. Insomma un torneo in cui sarà più difficile scrivere della retorica della storia e del mito, a meno che non si voglia confonderlo con la cronaca. Così si potrebbe cogliere l’occasione di soffermarci con pigrizia sui campi periferici, con molto tempo a disposizione, per osservare colpi acerbi ma promettenti, soluzioni giovani e cariche di speranze. Si potrebbe dedicare tempo al tennis, dimentichi del nome del giocatore che abbiamo osservato, senza pensare al punteggio che scorre trascinando emozioni.
Poche persone, un cappellino per il sole, la libertà di allungare le gambe senza disturbare nessuno nei posti assegnati senza motivo. Il mese che sopraggiunge, trascorso camminando tra i campi dai numeri alti senza pensieri. L’aria che accarezza la pelle e una voce a cui non sappiamo rispondere.
“Chi ha vinto?”
“Non lo so, guardavo il tennis”.
Per diventare numeri uno c’è ancora tempo e magari si ha la fortuna di osservare una partita che non finisce mai.