Ci sono personaggi della letteratura che rompono le catene delle parole per piombare, affamati di vita, nel mondo reale. Sherlock Holmes fa indubbiamente parte di questa categoria.
Nato, quasi per caso, dalla penna di Sir Arthur Conan Doyle, l’investigatore più famoso del mondo è riuscito a varcare quella soglia che lo divideva dal mito per arrivare fino a noi. Da quel lontano 1887, molti scrittori e registi hanno cercato di imprigionarlo nelle maglie troppo strette di un detective borghese caratterizzato da quel tipico e noioso aplomb inglese. Ma il personaggio di Conan Doyle è tutto tranne che tranquillo e compassato. Ironico, irrequieto e terribilmente assetato di conoscenza, in poche parole moderno, forse è stato lo stesso Holmes ad architettare quel travestimento per arrivare integro fino ai nostri tempi, senza turbare troppo i moralismi delle altre epoche. Sta di fatto che oggi, in un clima culturale più aperto, l’investigatore più celebre di tutti i tempi si può liberare da quell’immagine stereotipata e fasulla per ritornare a incarnare la sua vera natura.
Il merito di Guy Ritchie nella sua originale riproposizione delle avventure del detective londinese, sta proprio nell’aver lasciato venir fuori la vera indole del personaggio; manesco, cocainomane e innamorato della razionalità come un esteta lo è della bellezza artistica. Holmes è una sorta di dandy della razionalità, un artista maledetto animato dall’unico ideale del metodo scientifico, un rissaiolo alcolizzato che conosce le arti marziali e si compiace della propria intelligenza. Dopo il grande successo mondiale del primo Sherlock Holmes, il regista americano ritorna, quindi, a divertirsi con l’attesissimo sequel intitolato: Gioco di Ombre. Avendo già illustrato la rilettura dei personaggi, interpretati dagli stessi attori del primo volume, il regista può concentrarsi sulla narrazione vera e propria, la cui trama esplosiva è costruita su un’ impalcatura colossale piena di effetti visivi di forte impatto, in perfetto stile Guy Ritchie. Complotti, attentati e omicidi politici, nella cornice di una Europa sull’orlo di una crisi bellica, formano la struttura narrativa portante nella quale si muovono i protagonisti. L’intelligenza e le abilità di Holmes dovranno scontrarsi, nuovamente, con quelle del suo più acerrimo nemico, il professore Moriarty. La partita si giocherà sul piano della razionalità ma anche dell’azione, come una partita a scacchi che finisce in una, altrettanto rispettabile, scazzottata. Per quanto riguarda i personaggi, l’ex marito di Madonna tocca poco o niente, l’aggiunta di un grande Stephen Fry nei panni del fratello maggiore di Holmes ( Mycroft ) risulta piuttosto azzeccata. L’intesa tra Jude Law ( Watson ) e Robert Downey Jr. ( Holmes ) è praticamente perfetta, ciò esalta ancora di più una delle tematiche fondanti del film, l’amicizia tra i due soci investigatori. Il rapporto tra i due, basato sulle affinità della ragione e della complicità intellettuale, è il motore psicologico di tutto. L’esaltazione della bromance, termine inglese per definire quell’amicizia dell’intelletto che può essere solo maschile, è da subito evidente e si concretizza nel film. Stupende, come al solito le ambientazioni; da Strasburgo a Berlino, passando per Parigi e le montagne svizzere, il regista si diverte a muovere i suoi personaggi in un moto forsennato e incessante. Anche se alla fine, il nucleo centrale dal quale si origina e si risolve tutto, è sempre quella Londra di fine Ottocento dove i due investigatori sono domiciliati.
Al di là dell’impressionante macchina cinematografica messa in moto per ricreare le atmosfere stupende di mezza Europa e una trama sorprendentemente chiassosa, il successo della pellicola sta, però, nella naturalezza con la quale il regista rilegge i personaggi dei romanzi di Conan Doyle. Guy Ritchie lascia che i vari Holmes, Watson e Moriarty si muovano liberamente all’interno della sua poetica esplosiva arricchita di flashforward e altre invenzioni visive. Ciò che ne risulta è una portentosa commedia d’azione che offre al pubblico 2 ore di puro divertimento. Nonostante questo, non si può di certo dire che tutto si esaurisca in un piacevole intrattenimento fine a se stesso.
Sherlock Holmes 2 di Guy Ritchie è anche altro. E’ l’esaltazione del raziocinio che si risolve nell’azione; è la celebrazione dell’ironia come elemento fondante dell’intelligenza; è l’apologia dell’affinità intellettuale maschile quale valore importante della cultura occidentale. L’intelligenza è alla base di tutto, chi conosce può divertirsi a fare, e nell’opera del regista americano si divertono proprio tutti. Si diverte Holmes, si diverte Watson, si diverte Moriarty e si diverte il pubblico. Ovviamente chi si diverte di più è il regista stesso, che può giocare liberamente con i personaggi assecondando i suoi gusti. Visto che nessuno ha bisogno di fingere, il tema del travestimento torna ad essere puro gioco disinteressato, elemento ironico di cui tutti si compiacciono. Soprattutto Holmes, che può tornare a travestirsi per divertire, stupire o risolvere misteri, senza essere obbligato a farlo per essere accettato in un mondo reale poco auto-ironico e che detesta farsi prendere in giro.