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Quando la società civile non ce la farà più

Non c’è più niente da fare: la società civile è in caduta libera. Senza più freni, senza inibizioni, soltanto colma di paure. Quanto potrà ancora resistere?

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Il concetto della società civile prende forma nel ‘800 con Hegel come “in primo luogo, il sistema dei bisogni; in secondo luogo, l’amministrazione della giustizia e in terzo luogo la polizia e la corporazione cioè gli organi che hanno la cura degli interessi particolari” (Nicola Abbagnano, Dizionario di filosofia, UTET).
In poche parole, la società civile si configura come quel territorio di scontro e di incontro tra gli individui (o famiglie intese come unità) in cui si creano gli equilibri socio-economici e giuridico-amministrativi di un determinato stato, lo stesso stato che dovrebbe essere in grado di unificare le esigenze personali dei singoli e un giusto rapporto di questi con gli altri sotto uno sguardo unitario.

Senza soffermarsi su ciò che praticamente si distacca dalla teoria, facilmente è inquadrabile quello che ci si aspetta da un uomo politico, ovvero che abbia un’intima conoscenza delle necessità dei singoli e altrettanto anche riguardo la massa e le relazioni che intercorrono tra individui e collettivi.
Basta guardarsi intorno per capire, purtroppo, che le cose non stanno così. La società civile è caduta nell’idiosincrasia di se stessa, è diventata territorio di soli scontri; scontri che le forze politiche dovrebbero saper equilibrare. Essa si è lanciata giù nel baratro delle insensatezze, nella calca di chi non sa cosa fare, di chi cerca ma non sa trovare una via d’uscita.

Cercare una soluzione nei nostri vari segretari di partito o tecnici vari, deputati e non, sarebbe una pura perdita di tempo: come ricorda Umberto Eco nella sua ultima bustina su l’Espresso (intitolata ‘La casta dei paria’), i nostri politici ormai sono lontani dalla gente, dai problemi veri che coinvolgono il popolo. Sono rinchiusi nelle loro roccaforti e non hanno ovviamente i problemi quotidiani che portano al contatto con la gente. Il loro unico contatto con il mondo sono i portaborse e le telefonate da altri capi di stato, da ministri o amici all’estero che li informano di nuove terribili ondate di risalita dello spread. Ma cos’è lo spread? Qualcuno lo ha forse capito? Non di certo la società civile. Eppure è la diretta interessata.

Siamo utenti o più semplici spettatori di incontri tra capi di Stato e schermi pieni di numeri, ma di cui fondamentalmente non capiamo nulla. Sappiamo solo che non si arriva a fine mese.
Ed è nel linguaggio stesso il problema: i nostri politici hanno smesso di parlarci. Almeno di parlarci sul serio. Per vergogna, forse. O forse no. Questi si mantengono su voti sostenuti dai preconcetti classici di chi, di politica, non ne ha mai voluto sapere niente. E quando non si tratta di poveri ignari, ci sono i grandi idealisti  che, invece, credono di saperne troppo. Ed infine votano come la loro famiglia gli ha indicato, per interessi personali maggiormente. Spirito critico dissolto, assente.

Ci sono, poi, pochi consapevoli. Ma quanto realmente valgono e quanto ancora possono rimanere aggrappati prima di cadere (e lasciar cadere anche gli altri, con loro) nel baratro del nulla sociale? Possiamo dire che loro, con le loro forze, sono la società civile consapevole, la vera società civile. Ma, di nuovo, quanto potranno resistere ancora? Cosa accadrà quando la società civile (quella vera) non ce la farà più? Chiedetelo ai monti.

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