Si sa, la frutta e la verdura fanno bene alla salute e sono alimenti indispensabili della dieta mediterranea. Eppure gli italiani sembrano pronti a rinunciarci e con la crisi hanno deciso di ‘tagliare’ proprio l’ortofrutta.
Nel 2011, ogni famiglia ha acquistato 5 chili in meno di frutta e 3 chili in meno di verdura. Ridotti anche gli ortaggi surgelati: un chilo in meno.
L’ennesimo risultato della crisi economica, sociale e politica del nostro Paese.
Stando alle statistiche, nell’ultimo anno una famiglia su tre ha alleggerito il carrello della spesa e, di questi, il 41,4% ha ammesso di aver ridotto gli acquisti di frutta e verdura.
Colpa dei prezzi al consumo troppo variabili, dell’educazione a una sana alimentazione non ancora radicata, della minore capacità di spesa che induce a considerare la frutta un ‘bene di lusso’ e a comprare cibi dal basso costo ma dall’elevato contenuto calorico.
Il risultato? Un calo complessivo dei quantitativi del 2,6 per cento tendenziale, per un totale di 8,3 milioni di tonnellate. C’è però da ricordare che la crisi dei consumi ha radici antiche: in 11 anni, infatti, gli acquisti sono diminuiti del 23 per cento, passando dai 450 chili a famiglia del 2000 ai 347 chili del 2011.
Vuol dire che in poco più di un decennio si sono persi per strada oltre 100 chili per nucleo familiare, con conseguenze dirette sia sulla dieta degli italiani sia sui redditi dei produttori.
Ma, alla luce di questi dati, come ci si spiega la presenza di un ampia fetta di imprenditoria giovanile proprio nel settore agroalimentare?
Ne parliamo con Daniele Moro, docente all’Università Cattolica di Milano presso la Smea, Alta scuola di Economia Agro Alimentare.
Ci sono finanziamenti concreti per l’ imprenditoria giovanile nell’agroalimentare, nonostante il periodo di crisi che stiamo attraversando?
Sicuramente ci sono agevolazioni e finanziamenti per i giovani che vogliono intraprendere questa attività, sia in campo agricolo (ad esempio con le agevolazione/incentivi previsti anche dalla Politica Agricola Comune ed erogati di norma attraverso i Piani di Sviluppo Rurale), sia in campo genericamente agroalimentare (dove presumo che valgano le stesse agevolazioni previste per l’imprenditoria giovanile di altri settori)
Come si inserisce questo settore imprenditoriale nel contesto attuale? Gli ultimi dati della Cia (confederazione agricoltori) non sono per niente confortanti.
È evidente come il settore agroalimentare risenta della crisi, soprattutto un settore ad alta intensità di innovazione (di prodotto soprattutto) come quello alimentare. L’agroalimentare in genere, essendo legato a consumi ‘insostituibili’ è tradizionalmente considerato anticiclico, ma la crisi economica globale ovviamente ha ripercussioni profonde anche sul settore alimentare (sia per la domanda interna, sia per le esportazioni); si consideri inoltre che a essere colpite per prime sono le produzioni di maggiore qualità e di più elevato valore aggiunto, e quindi con prezzi più elevati, e questo potrebbe essere un problema per le produzioni italiane che negli anni hanno cercato di qualificarsi, soprattutto sui mercati esteri, come produzioni di qualità. D’altro canto, è vero che la domanda di questi prodotti, anche in questo caso sui mercati esteri, si rivolge a segmenti di mercato a reddito più elevato, che risentono meno della crisi. Però l’agroalimentare non è soltanto produzioni di qualità, e dunque è indubbia la sofferenza del settore, che soltanto con una ripresa dell’economia potrebbe riuscire a recuperare .
Cosa suggerirebbe a un giovane che vuole intraprendere questa strada?
Credo che non ci siano preclusioni per un giovane imprenditore ad entrare nel settore, sia a livello agricolo (agricoltura e/o agriturismo) sia a livello commerciale/industriale; certamente servono idee e progetti validi, mentre dal punto di vista della politica economica ci vogliono strumenti per favorire il decollo di queste iniziative. Se avessi valide idee le suggerirei ai miei figli. Posso solo rimanere sul generale e dire che i progetti devono essere innovativi e rispondere a esigenze quantomeno latenti nei consumatori; forse appunto ci sono delle tematiche generali che possono costituire dei macro-indirizzi: la sostenibilità in tutte le sue accezioni, anche se il termine è inflazionato, la qualità e la sicurezza degli alimenti, l’attenzione all’ambiente e al clima, gli aspetti etici quali sviluppo e benessere.