Con Venezia le città della Puglia ebbero un legame privilegiato, sia commerciale sia politico, essendo principale approdo insieme alla Francia di tanti esiliati, simbolo di libertà rispetto al dominio assolutistico e alla mentalità stessa del Regno di Spagna, ma anche di gusto e committenza avendo creato nel campo artistico forme e linguaggi originali rispetto agli altri centri del Rinascimento in Italia. Da qui la presenza capillare dei pittori veneziani in tutta la regione.
La ricca presenza di opere d’arte del Cinquecento veneziano in terra di Puglia ha sempre destato interesse e attenzione da parte degli studiosi per la consistenza del fenomeno, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. Restano comunque ancora molti interrogativi in merito a tale circostanza, aspetti non ancora indagati e questioni non ancora chiarite.
Un tassello ulteriore e assolutamente nuovo nella ricostruzione e nella conoscenza dell’intrigante fenomeno viene ora offerto dalla mostra “Tiziano, Bordon e gli Acquaviva d’Aragona. Pittori veneti in Puglia e fuoriusciti napoletani in Francia” inaugurata il 15 dicembre scorso e visitabile fino all’8 aprile 2013 a Bitonto, alla Galleria Nazionale della Puglia Girolamo e Rosaria Devanna.
All’esposizione si aggiunge l’attenta ricognizione storico-topografica delle opere d’artisti veneti del Cinquecento in ambito regionale, dai Vivarini a Palma il Giovane, condotta da Nuccia Barbone Pugliese, che evidenzia una terra profondamente legata alla Serenissima specialmente lungo la costa marittima.
L’indagine territoriale, d’assoluto rilievo, ha messo a punto le conoscenze d’opere note, come la pala di Paolo Veronese conservata nella chiesa benedettina di Bitonto che, nonostante i segni del tempo (cui ha tuttavia posto riparo la Soprintendenza con un provvido restauro e consolidamento), è un autentico capolavoro e ha consentito vere scoperte come la bellissima Annunciazione di Palma il Giovane a Molfetta, mai studiata prima.
Al centro della mostra un inedito e notevole dipinto per la prima volta attribuito a Paris Bordon, raffigurante Il ritratto di Giulio Antonio II Acquaviva d’Aragona, attualmente in raccolta privata inglese e mai esposto prima d’ora.
L’opera, in un primo tempo assegnata addirittura a Tiziano (il primo a pubblicarla come tale fu Suida) ma in seguito dimenticata e poco considera, è stata riporta alla piena leggibilità grazie a un recente e accurato restauro che ha permesso ad Andrea Donati, curatore della mostra insieme a Nuccia Barbone Pugliese e Fabrizio Vona – con la collaborazione speciale tra gli autori del prestigioso catalogo e il contributo nell’identificazione e attribuzione di importanti dipinti di Lionello Puppi – di riconoscervi un autentico lavoro di Bordon.
Un dipinto importante, che offre lo spunto per rileggere i legami storici ed artistici dell’antica casata feudale degli Acquaviva d’Aragona con le città di Bitonto, di Conversano e dei territori pugliesi appartenenti al feudo del potente casato e, nel contempo, riporta l’attenzione sui più importanti dipinti veneziani giunti in terra di Bari tra il quarto e il sesto decennio del Cinquecento.
La mostra di Bitonto dunque da un lato fa luce su un periodo storico della Puglia poco esplorato, indagando le relazioni culturali ed economiche che legavano questa regione al regno di Napoli, dall’altro intende valorizzare alcune opere venete qui presenti, a cominciare dal Ritratto di gentiluomo di Tiziano esposto nella Galleria Nazionale della Puglia e sottoposto a indagini diagnostiche che stanno rivelando interessanti dati conoscitivi.
Il dipinto di Bordon consente innanzitutto di stabilire con precisione gli estremi biografici di Giulio Antonio II (duca di Atri, marchese di Bitonto e primo dei membri dell’antica casata baronale esiliato in Francia da Carlo V, dopo la sconfitta dei francesi durante la guerra di Napoli nel 1528) grazie alla scritta superiore riemersa con il restauro: un’aggiunta spuria ma antica che ribadisce il luogo e la data di morte dell’Acquaviva finora rimasti ignoti (Lione 18 ottobre 1538).
La tela conferma, inoltre, la magistrale pittura di Bordon chiamato evidentemente a dipingere un ritratto postumo. A confronto con tale dipinto, oltre alle opere coeve di autori veneti conservate presso la Galleria Nazionale di Puglia e ad alcune eccezionali testimonianze dal territorio, saranno esibiti circa venti dipinti di grande rilievo provenienti da collezioni private, a ricostruire il contesto pittorico e figurativo del tempo – Tiziano, Sebastiano del Piombo, Lorenzo Lotto, Paris Bordon, Pordenone, Savoldo, Palma il Giovane – tra cui importantissimi inediti e medaglie del Cinquecento raffiguranti personaggi illustri (letterati, artisti, papi, imperatori, principi) che hanno avuto contatti con gli Acquaviva d’Aragona.
Esposti anche libri antichi e documenti della storia di Bitonto e di Conversano.
Tra le opere d’assoluto interesse che la mostra consente a pubblico di vedere, prestate da prestigiose raccolte private italiane ed estere, vi sono per esempio un Cristo portacroce, pubblicato per la prima volta da Pietro Zampetti nel ‘75 con l’impegnativa attribuzione a Giorgione, che Lionello Puppi nel catalogo della mostra riconduce invece, sempre nel contesto degli artisti attivi a Venezia agli inizi del Cinquecento, alla mano di un Sebastiano del Piombo folgorato dalla visione giorgionesca, della quale offre però un’interpretazione mai pedissequa; o ancora due straordinari bozzetti di teste raffiguranti Angelo e Tobiolo, piccoli oli su carta incollata successivamente su tavolette lignee, che sempre Puppi ritiene appartenere a particolari “studi” conservati da Tiziano in bottega, in questo caso forse riconducibili alla pala della sacrestia della Chiesa veneziana di San Marziale realizzata sul finire degli anni Quaranta.
Altro studio – vero e straordinario pezzo unico nel catalogo invece di Sebastiano del Piombo – è anche l’olio su carta con Maria ed Elisabetta presentato da Donati, sulla base di studi precedenti, come “modello” per la parte superiore della famosa Visitazione di Sebastiano del Piombo conservata al Louvre.
Tra gli inediti da segnalare anche la favola Nettuno e Anfitrite di un Paris Bordon che al culmine del successo a Venezia, Milano e Parigi, nel finale della sua onorata carriera, dipinse alcuni dei suoi quadri più ambiziosi la maggior parte dei quali di argomento mitologico e un’eccellente Cristo portacroce, che viene qui attribuito al bergamasco Cariani nella fase conclusiva del ripensamento giorgionesco dell’artista, situabile intorno al 1517, ovvero allo scadere del soggiorno veneziano.
Eccezionale poi la presenza nel percorso espositivo d’assoluti capolavori provenienti da edifici di culto del territorio, che danno diretta testimonianza dell’importanza assunta dalla pittura veneta in Puglia nel XVI secolo.
In particolare si segnala la pala raffigurante San Francesco (cm 245 x 146) proveniente dall’omonima chiesa a Gallipoli, che, attribuita al Pordenone da tutti gli studiosi moderni, è stata sottovalutata in tempi recenti a causa della presenza di due angeli in volo rimaneggiati posteriormente da un pittore locale.
L’opera viene ora restituita alla sua piena leggibilità come lavoro del grande artista e riproposta in tutta la sua importanza nel contesto storico dei rapporti tra Venezia e la Puglia confermando il successo che qui ebbe il Pordenone, chiamato in quegli stessi anni a realizzare un’altra notevole pala d’altare nella Chiesa di Santa Maria Nova a Terlizzi, in seguito all’arrivo dei Grimaldi da Genova e Monaco.
E sempre da Terlizzi giunge in mostra la Natività che Savoldo, seguendo l’esempio di Pordenone, realizza per la medesima chiesa su commissione di una nobile famiglia locale, per il tramite probabilmente dei frati Minori Osservanti: il pittore aveva infatti realizzato in quello stesso 1540 due opere di analogo soggetto nella Chiesa di San Giobbe a Venezia e a Brescia.
Tra i meriti di questa eccezionale mostra di studio e ricerca, vi è anche l’aver ricondotto in Puglia, per l’occasione, quella che è ormai accreditata tra gli studiosi come la cimasa, lievemente rifilata ai lati, della pala d’altare realizzata da Lorenzo Lotto per la Chiesa di San Felice a Giovinazzo (successivamente trasportata in San Domenico), datata 1542 e commissionata al pittore da un mercante di Barletta che agiva per conto di tutta la comunità.
Riemersa recentemente da una collezione privata, la cimasa – che raffigura un Ecce Homo di tradizione dureriana abbastanza raro nella tradizione figurativa pugliese – rende giustizia dell’alta qualità originale dell’opera di Lotto, venendosi ad aggiungere allo scomparto centrale della pala che era stato rinvenuto presso San Domenico (ora in mostra a Lecce), quando i due pannelli laterali sono ancora dispersi.
Una riscoperta di primo piano, che impone il polittico di Giovinazzo in tutta la bellezza della sua materia pittorica e della sua complessità iconologica.