Le mezze stagioni bla bla bla. Lo sanno tutti che non esistono più le mezze stagioni. Il luogo comune dice che passiamo dall’inverno all’estate e viceversa senza periodi intermedi. Tale fenomeno atmosferico genera un effetto collaterale noto in medicina come: cambio stagione.
Si tratta di una sindrome che colpisce in maniera maggiore il sesso femminile e comporta lo spostamento patologico da uno o più armadi di centinaia di capi d’abbigliamento verso un altro armadio (o più armadi) che rispetto al precedente (o ai precedenti) hanno l’unico vantaggio di essere più a portata di mano.
Uno studio greco-venezuelano ha dimostrato che un individuo di sesso femminile possiede mediamente (tra magliette, gonne, soprabiti, accessori, scarpe) dai 2000 a n –> ∞ (n tendente a infinito) capi d’abbigliamento. Nei casi gravi questo numero tende anche ad aumentare (impossibile? No, ti assicuro di no).
I primi sintomi di questa malattia si manifestano nella sindrome da shopping compulsivo. Se ne trovano descrizioni già nei testi egiziani e nei Papiri del Mar Morto. Tale sindrome porta la donna a raggiungere il centro abitato dotato di negozi più vicino e acquistare (dopo averli provati) decine di oggetti. Le frasi che accompagnano questo atteggiamento delirante sono: “Questa borsa posso abbinarla alle scarpe fucsia che ho comprato tre anni fa”. Tuttavia le scarpe acquistate nel triennio precedente (mai indossate perché non c’era la borsa giusta da abbinare loro) sono fuori moda, e quella borsa terminerà i suoi giorni nell’armadio delle borse senza mai vedere la luce del sole. Morale della favola: un paio di scarpe e una borsa sono state acquistate per niente.
L’individuo di sesso maschile, di solito obbligato moralmente ad accompagnare la donna in questa attività inutile, è costretto a starsene in silenzio, in un lato del negozio. Viene interrogato solo per sentirsi dire: “Come mi sta?”. A questo punto gli altri uomini presenti si voltano di spalle pensando tremanti a quando questa domanda colpirà anche loro. Qualcuno guarda il malcapitato e piange (sì, esiste anche la solidarietà maschile). È stato dimostrato che, come alla maggior parte delle domande poste dalle donne, alla richiesta: “Come mi sta?” non esiste risposta valida. La sincerità, base di ogni rapporto, è la cosa da evitare più di tutte. “Ma come ti deve stare? Hai due cosce che la Rovagnati ha scartato perché troppo grasse e ti provi una minigonna?”.
Dici, balbettando: “Bene…”.
E la risposta è: “Che significa bene? Tu non mi aiuti. Non ti posso mai chiedere un consiglio? Ma come bene, non vedi che c’è una piega a 4,5 centimetri dal gluteo sinistro? Una volta che ti chiedo di fare qualcosa per me, una volta che ti chiedo un consiglio…”. Andrà avanti così per ore.
Non ti azzardare proprio a rispondere: “Male”…
Forse puoi dire: “Ti dona particolarmente, del resto a te dona tutto”.
Lei si offenderà lo stesso e ti risponderà male, ma in fondo ne sarà contenta. Se, poi, si dovesse convincere che quel capo le doni davvero… allora potresti pensare che potrebbe restare nel centro commerciale solo un’altra ora, ora e mezza.
Fine prima parte. Voglio fare un articolo in due parti! Perché, è vietato?