L’Italia è quel Paese dove consegui una laurea e inizi a praticare lo sport estremo della ricerca di un lavoro.
Decine di telefonate, centinaia di e-mail, qualche raccomandata ai più tradizionalisti, ma dopo aver giocato la tua partita quotidiana, non ti rimane che vestire una divisa più o meno ufficiale e improvvisarti cameriera nel ristorante tal dei tali. In alternativa però, e soprattutto se sei laureata nelle discipline della comunicazione, puoi sempre scegliere di trascorrere la tua serata ancora davanti al computer per scrivere un po’, perché quello sì, lo fai con passione. E solo per passione.
Chi vi scrive, oggi, ha scelto la seconda opzione e, dopo aver giocato sul campo la mia singolare partita, mi sono riappropriata del mio pc e del mio materasso per raccontarvela col doppio obiettivo di uno sfogo personale e di un passaparola, che magari può rivelarsi utile ai tanti che vivono la mia condizione. Il tutto con la premessa che alcuni dettagli del racconto sono documentati, altri, invece, sono solo impressioni tratte da un bagaglio personale di valori e insegnamenti come quello che vi suggerisco: “a pensar male, si fa peccato, ma si azzecca sempre”, diceva la mia anonima insegnante di diritto, citando il più famoso Giulio Andreotti.
Cercando un lavoro semplice come il volantinaggio, mi imbatto sul web in un annuncio di un’azienda che, per l’apertura di un nuovo punto commerciale, ricerca varie figure professionali tra cui, oltre a – testualmente – hostess, stuart e distributore di gadget, compare anche quella di “volantinatrice”. L’azienda, che si trova a Roma in zona Colli Albani, cerca ambosessi di età compresa tra i 18 e i 30 anni che abbiano disponibilità immediata per un lavoro full time, offrendo pagamenti ai più alti livelli di mercato, incentivi e obiettivi mensili. Eccomi, allodola attirata nella rete da bei riflessi sugli specchi. L’annuncio si chiude con un numero di telefono fisso che chiamo e mi viene fissato un colloquio conoscitivo per lo scorso mercoledì. Il fischio d’inizio di una partita che mi taglia il fiato e mi costringe a ritirarmi in anticipo sul novantesimo minuto.
Primo tempo, il colloquio conoscitivo. Con buona pace dell’etimologia e dell’accostamento dei due termini, il primo step si rivela nient’altro che una consegna del curriculum vitae. Tre fogli su cui vengono riportati, con dovizia di particolari, dati e informazioni sulla mia esperienza personale e professionale a cui il manager di XXX (nome di fantasia dell’azienda), che mi riceve, non presta la minima attenzione. Tre fogli utili, alla fine, soltanto a prendere qualche appunto sulla mia disponibilità e sull’area di domicilio. “Siamo un’azienda di distribuzione. Ci occupiamo di fotovoltaico ed energie rinnovabili. Cerchiamo diverse figure professionali”. Non è la sintesi, ma è testualmente tutto ciò che mi viene detto. “E più non dimandare”. Sollecitata da apposita domanda, affermo di non essere timida, quindi, bollata come D. I. F. T. (con disponibilità immediata e full time, ndr), vengo invitata a una giornata di prova per il giorno successivo. Un invito che sa un po’ di pressing perché “i posti sono pochi e la disoccupazione è tanta”, mi spiega il manager. Domani o morte, sarebbe lo slogan. Accetto, ma so di non potercela fare a causa di altri impegni pseudo – lavorativi, quindi torno a casa e, allo scopo di richiamare per implorare un posticipo almeno a venerdì, cerco il numero dell’azienda su google. Lo trovo, ma trovo anche, tra i risultati, una serie di post di persone che parlano di truffa o, nella migliore delle ipotesi, di lavoro sottopagato. Grazia concessa comunque. Prova rimandata a venerdì, ma guai a chiedere ancora una volta spiegazioni su quali siano le diverse figure professionali ricercate. “Questo, lo sa il manager, ma lui è appena scappato”, sostiene la receptionist con fare che potrebbe valerle il podio al provino per Uomini&Donne.
Mi concedo qualche minuto di recupero per fornire un po’ di dettagli sull’ambientazione di XXX. L’appartamento che sfruttano è composto in sequenza da: un ingresso, un bagno, una stanza completamente vuota, una stanza, provvista di scrivania e tre sedie, in cui si svolge la consegna CV e una sala d’attesa per gli aspiranti “nonsisabenecosa”, provvista di sedie e – elemento fondamentale in ogni ambiente di lavoro che si rispetti – uno stereo che trasmette musica da palestra o da club, se preferite, ad alto tasso di decibel.
Secondo tempo, la giornata di prova a sorpresa. Davanti al cancello del palazzo che ospita la XXX, un gruppo di quattro persone aspetta. Anche loro, come me, sono lì per le selezioni e senza informazioni. Scopriamo che siamo tutti arrivati allo stesso risultato, seguendo strade diverse. Qualcuno voleva fare volantinaggio, qualcuno voleva fare l’agente commerciale. Qualcuno credeva di essere lì per un motivo, ma forse era qualcos’altro, si direbbe parafrasando Gaber. Veniamo accolti nella stessa saletta con musica a palla di cui sopra, mentre lo stereo suona “Persone silenziose” l’ultima hit di Tiziano Ferro e Luca Carboni che, sulle note finali, cantano “all’improvviso scappi via, senza salutare”. Un presagio di ciò che sarebbe successo nel giro di poche ore. Compiliamo una cartellina in cui c’è scritto fondamentalmente che ci impegniamo a sopportare una giornata in compagnia dell’azienda che su carta è diventata “YYY srl” (altro nome di fantasia). Cinque persone dall’aria determinata entrano come un esercito. Si occupano di gestione, selezione e formazione delle risorse umane. Ognuno di noi viene affidato a uno di loro con la raccomandazione di fare più domande possibile, ma di quelle che piacciono a loro, direi a giudicare dall’atteggiamento delle risposte. “Lei affiancherà Giorgia che, davanti a un caffè, le spiegherà meglio come opera l’azienda”. Con Giorgia, che continua a darmi del lei nonostante siamo quasi coetanee, salgo su un’auto aziendale su cui, sempre con effetto sorpresa, vi ritrovo altre tre persone che non si presentano, non parlano e si crea una situazione che, in tutta onestà, mi mette leggermente in soggezione. Intanto Giorgia, mentre è molto riservata sulle informazioni che riguardano la XXX, ne prende quante più possibili da me: dagli studi fatti alle esperienze lavorative, dal numero di fratelli e sorelle alle loro occupazioni professionali, dal lavoro dei genitori fino all’ammontare dell’affitto mensile. La cosa mi irrita, perché il clima creato non è professionale ma neppure confidenziale. Insomma, dopo essermi presentata in ufficio alle 8.30 in punto, si inizia a “lavorare” soltanto verso le 11 perché prima bisogna fare colazione al bar. Non in un bar qualsiasi, ma in uno abbastanza lontano dalle sede dell’agenzia, perché, come mi verrà spiegato in seguito “noi studiamo il territorio”. La colazione ci fornisce qualche caloria, ma nessuna informazione in più su come e in che settore opera l’azienda. Ancora mezz’oretta a zonzo in macchina per scaricare i “fantasmi” che ci portavamo dietro, sempre con la massima riservatezza che impone a Giorgia di scendere ogni volta per soffermarsi pochi minuti a parlottare, e finalmente comincio a capire. O forse comincio a confondermi. Entriamo in una serie di esercizi commerciali (bar, officine, parrucchieri, ecc) in cui io non dovrò aprire bocca, ma solo osservare Giorgia che si raccomanda: “non presti attenzione al contenuto di ciò che dico, ma si concentri sulla mia comunicazione non verbale”. Ora, se considero che davanti a un cliente si è soffermata ad ammirare la bellezza delle sue unghie fresche di ricostruzione e davanti a un altro si è accomodata a gambe stese sugli sgabelli del bancone del bar, mi permetto di dubitare che a fine giornata quella formata in strategie e tecniche della comunicazione sarei stata io. Disobbedisco, quindi, e mi concentro esattamente su ciò che dice. Salta le presentazioni e parte a razzo con una pappardella che mi auguro capisse almeno lei. Il cliente, di sicuro, no. Alla fine comunque sostiene che Acea, azienda responsabile della distribuzione locale dell’energia elettrica su Roma, starebbe mandando degli assegni ai suoi clienti per restituire loro il deposito cauzionale pagato per il contatore soltanto, però, se in possesso di un codice che lei recita nell’ambito della sua pappardella e invita poi a passare a Sorgenia, che in questo momento è partner dell’azienda, per usufruire di uno sconto del 25% più 1, se bravi pagatori. Ora, a me qualcosa non torna. Perché Giorgia non si presenta subito e non permette subito al cliente di capire con chi sta parlando e per quale ragione? Perché Giorgia, che opera per conto di Sorgenia, si preoccupa prima degli assegni Acea? Perché Giorgia sostiene che, passando a Sorgenia, il cliente continuerà a ricevere una bolletta con intestazione Acea? Perché gli operatori di Sorgenia, con cui ho parlato personalmente, mi dicono il contrario? Perché gli operatori di Acea mi dicono “forse parlare di truffa è azzardato, ma non è neppure una situazione trasparente”? E soprattutto, perché io ho aspettato fino a mezzogiorno prima di darmela gambe?
“Bar Sport”. Forse la truffa è una mia invenzione fantastica. Forse le persone con cui ha parlato stamattina Giorgia non subiranno il furto di un solo centesimo, sebbene io li guardassi con tenerezza, pensando a come si possa essere così ingenui da accordare la propria fiducia a una ragazza che non si presenta, non espone un tesserino, non parla il tuo stesso linguaggio, ma ti confonde con un lessico aulico che non le appartiene. Forse Giorgia agiva davvero senza interesse per conto di Sorgenia. Forse XXX è davvero solo un’azienda che si occupa di marketing promozionale.
Ma evidentemente questo non è ciò che penso e ritengo che sia grave già solo il fatto che la mia opinione non sia cambiata e il mio scetticismo non si sia placato dopo un’intera mattinata trascorsa a contatto con queste persone. Ma forse il mio giudizio dipende da una scarsa conoscenza del marketing stesso che non mi permette di capire perché Giorgia debba confondere la gente se non ha niente da perdere e non ha un prodotto da vendere, come mi ha magistralmente spiegato dall’alto dei suoi studi in marketing. Ah, no, Giorgia ha studiato scienze motorie. Forse sarò troppo choosy – Elsa Forner dixit – ma quest’aura di mistero “finché non è parte dell’azienda” ha un sapore di setta, un sapore che non mi lascia sperare bene e che comunque non mi piace.
Nel salutarci, Giorgia mi ha detto che in Italia non si lavora a causa di persone come me che pretendono di sapere quanto riceveranno prima ancora di iniziare a dare a un’azienda. Forse io, ipercritica come sono e attenta ai dettagli, mi sbaglio e per questo, con umiltà, mi appello a chi mi legge e chiedo: ho davvero pretese così assurde se mi aspetto che durante un colloquio di lavoro mi si dica cosa andrò a fare se assunta e per quale remunerazione lo andrò a fare?
Claudia