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Civita di Bagnoregio, la città che muore

Civita di Bagnoregio è un piccolo borgo che suscita grandi emozioni. E' a pochi chilometri da Roma. Da visitare!

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Civita di Bagnoregio

A Roma e dintorni, il 25 aprile è stata una giornata di sole. Raggi che, arrivando da un cielo azzurro e limpido, hanno illuminato e riscaldato né più né meno di come madre natura vorrebbe che fosse a primavera.

Un così bel tempo, in un giorno di festa nazionale come la Liberazione, non è che ti invita ad uscire, ma quasi ti apre la porta di casa e te lo impone. D’altronde, fossero tutti così i comandi a cui bisogna obbedire!

Un uomo e una donna uniti dalla passione per il viaggio, vicino o lontano che sia, sono saliti a bordo della loro macchina e, con un peluche a vegliare sulla strada e un navigatore ad indicarne la direzione, hanno abbandonato la caotica vita romana per concedersi una breve gita fuori porta a Civita di Bagnoregio.

Un’ora e mezza di viaggio durante il quale la parola d’ordine è meraviglia. A destra e a sinistra, infatti, non puoi che ammirare le bellezze paesaggistiche che offre il territorio laziale: immense distese di verde, interrotte qualche volta dai colorati alberi in fiore, qualche altra da greggi che pascolano e qua e là da costruzioni etrusche o semplici case di campagna, suggestive perché piccole e graziose.

Ed eccoci a Bagnoregio, il comune dal quale è possibile raggiungere Civita, sua frazione. Per quanti di voi dovessero non aver mai sentito parlare di Civita di Bagnoregio, andando per definizioni, non si può che attribuire subito la sua fama alla denominazione che gli è stata data nel tempo di “città che muore”.

“Ci muore chi ci va a visitarla!” sostiene, in via del tutto ironica, la folla di turisti che segue il percorso pedonale che conduce fino in alto al borgo. Dopo aver sceso delle scale, infatti, si raggiunge Civita passando per un ponte che si sviluppa in salita. Ai suoi lati e di fronte, però, a ripagare la fatica, ci pensano lo sconfinato paesaggio della valle dei Calanchi e la stessa vista del borgo al completo.

A dispetto della definizione, Civita di Bagnoregio è tutto fuorché triste. È “la città che muore”, infatti, solo perché la progressiva erosione della collina e della vallata circostante, già causa del suo isolamento e che ha dato vita alle tipiche forme dei calanchi, continua tutt’oggi e rischia di far scomparire del tutto la frazione.

Il problema è, in realtà, antico. Civita, infatti, che venne fondata dagli Etruschi 2500 anni fa su una delle più antiche vie d’Italia che congiunge il Tevere e il lago di Bolsena, presentò il problema delle erosioni già ai suoi stessi fondatori. Gli etruschi, quindi, misero in atto alcune opere che avevano il preciso scopo di proteggere la città dai terremoti e dagli smottamenti, opere che vennero poi riprese dai romani.

Su questo piccolo angolo di paradiso, fatto di scorci inediti e meravigliose viste, rimangono oggi da ammirare anche alcune case medievali; la chiesa di San Donato, che si affaccia sulla piazza principale e al cui interno è custodito il S.S. Crocefisso ligneo, protagonista del Venerdì Santo come massimo momento culturale e di raccoglimento per tutto il borgo; il Palazzo Vescovile; un mulino del XVI secolo; la casa natale di San Bonaventura e la porta di Santa Maria, con due leoni che tengono tra le zampe una testa umana, a ricordo di una rivolta popolare degli abitanti di Civita contro la famiglia orvietana dei Monaldeschi.

E poi schiere di fioriere colorate, gatti randagi, la cui presenza va certamente attribuita all’ambiente antropico abbandonato, vicoli con vista su boschi arborei e sconfinati, souvenir, tegole a perdere e tantissime chicche per gli occhi più sensibili. Ristoranti di bella presenza, ma soprattutto di apprezzata sostanza come “Alma Civita” che ti accoglie ai tavolini sistemati nel vicoletto o all’interno, in un ambiente antico, con pareti fatte di pietra, volutamente non ristrutturato, ma curato nei dettagli fino a proporre fili elettrici come se fossero corde ornamentali. Qui, estetica e gusto si incontrano e si sposano perfettamente grazie a una cucina fatte di ricette storiche e consolidate in famiglia, completamente artigianale e ricca dei prodotti tipici del posto.

Insomma, per questo 25 aprile non potevo desiderare di meglio e ne ho l’ultima ulteriore conferma quando, andando via, mi rigiro a metà ponte e provo un’ultima forte emozione per la visione d’insieme che mi restituisce questo incantevole borgo che spadroneggia nella sua valle.