Come di consueto, lo scorso 28 aprile, la rivista britannica “Restaurant” ha pubblicato la sua classifica per l’anno in corso dei migliori ristoranti del mondo. Ancora una volta, sul gradino più alto del podio, si è piazzato il danese “Noma”, mentre al secondo posto “El Celler de Can Roca” di Girona, in Spagna, e al terzo addirittura l’”Osteria Francescana” di Massimo Bottura, a Modena. Sì, dunque, anche l’Italia nella classifica.
I fortunati che entrano in lista o che addirittura si aggiudicano il podio sono scelti da novecento esperti internazionali, cuochi o critici gastronomici. Ognuno vota sette ristoranti, di cui almeno tre non del proprio paese, in cui devono aver mangiato nei 18 mesi precedenti. Poverini! Non ci sono criteri predefiniti, e ogni esperto fa la sua classifica in ordine di preferenze personali.
Il regolamento dovrebbe garantire una certa imparzialità di giudizio, ma sia in Francia sia in Gran Bretagna (non particolarmente premiate nella classifica, d’altronde) circolano alcuni dubbi. Anche sul senso della classifica: “Certo, un posto in cima alla classifica fa benissimo agli affari. Tanto più che agli chef non costa praticamente nulla. Molte cose fanno un po’ rabbia e un po’ ridere: cosa significa i migliori 50? Non c’è niente di sorprendente, niente di nuovo, trattengo a stento uno sbadiglio”, ha scritto aspramente la critica del Guardian. “Come esercizio di marketing la classifica dei migliori 50 è un colpo di genio. Per i fissati del cibo che amano spuntare i ristoranti da un’arida lista, è un magnifico esercizio di autoerotismo. Ma per i normali frequentatori dei ristoranti, queste visite gastronomiche servono solo a creare frustrazione e a creare aspettative – ‘Mamma, guarda: sono nel miglior ristorante del mondo’ – che sono destinate a svanire”.