La Svizzera ha detto no al salario minimo. Il referendum che chiedeva l’introduzione del salario minimo, appunto, non è passato. Secondo i primi dati dell’emittente Srf, infatti, la proposta dei sindacati è stata bocciata dalla maggioranza dei votanti. Gli exit poll indicano che solo il 23% ha votato a favore della misura, mentre il 77% si è espresso contrariamente. La situazione, d’altronde, era stata già anticipata nell’ultimo sondaggio curato da Gfs.bern prima delle aperture delle urne.
Il sondaggio, in particolare prevedeva un 64% di no, un 30% di si e un 6% di indecisi. L’introduzione del salario minimo avrebbe avuto effetti pesanti per l’economia visto che a tutti i lavoratori sarebbero stati garantiti 22 franchi all’ora, corrispondenti a 18 euro, che al mese fanno uno stipendio minimo pari a 4 mila franchi, cioè 3.270 euro. Sarebbe stata una retribuzione minima più che doppia rispetto a quella di 8,50 euro all’ora della Germania e dei 10,10 dollari proposti negli Usa da Barack Obama.
I sostenitori del sì, il sindacato Sgb, Verdi e socialisti, affermavano che il costo della vita del Paese alpino è altissimo, con un lavoratore su dieci che fatica a pagare l’affitto e solo il 40% delle professioni che è coperto da contratto collettivo. Gli imprenditori elvetici avevano ribattuto, però, che un salario minimo così alto avrebbe bloccato le assunzioni di giovani e la crescita.
In Svizzera, che è uno dei Paesi più ricchi ma anche uno dei più cari al mondo, non esiste un salario minimo nazionale e le retribuzioni sono concordate individualmente o collettivamente. I negoziati collettivi avvengono tra le parti sociali per un intero settore o per singole aziende. L’iniziativa popolare “Per la protezione di salari equi” si proponeva di cambiare queste situazioni. La misura del maxi salario avrebbe interessato circa 330.000 posti di lavoro ovvero il 9% del totale concentrati soprattutto in settori quali il commercio al dettaglio, la ristorazione, i servizi alberghieri, l’economia domestica, l’agricoltura.