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FRIDA Kahlo, la rivoluzione dell’arte

Frida Kahlo, l’esuberante passionaria che del dolore fece tesoro per il suo stile irriverente

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FRIDA Kahlo ritratta in una foto di Nickolas Muray

Essere alla mostra di Frida Kahlo è come entrare in un microcosmo pregnante ardore, emotività, lucida follia espressiva.
Una donna che sovrastava chi le era intorno quale dea difronte ai propri accoliti. Ogni dipinto, ogni litografia, ogni disegno di Frida Kahlo sono esaltazione di vita e morte al pari.

Odio, inquietudine, amore viscerale rappresentati da Frida Kahlo con tratto deciso o anche, allo stremo delle forze, con tratto incerto, ma che, sempre, all’attento osservatore, fanno vibrare le corde più intime dell’animo.
I suoi problemi di salute, elemento imprescindibile e filo conduttore della sua iconografia. Il desiderio più volte interrotto di maternità, il bisogno incessante di conferme da parte dell’amato Diego Rivera, fonte di ispirazione per la sua produzione pittorica.
Sentimentalmente dipendente da questa figura ingombrante che era il maestro Diego Rivera, al contempo però libera di tuffarsi in altre relazioni con personaggi illustri del suo tempo.

La sua arte, personale manifestazione del dramma, della rivincita, della lotta contro il destino e le regole imposte, ne traducono il pensiero in realtà da pelle d’oca e spingono a riguardare più volte particolari che nelle tele di Frida Kahlo hanno un posto piccolo ma di grande significato. Il mondo azteco, l’estridentismo, la nuova oggettività, il movimento tedesco, furono spunto per le sue opere.

Il 31 agosto 2014 le scuderie del Quirinale a Roma hanno chiuso le porte su questo evento che da marzo ha raccolto nella città eterna tanti appassionati. A 60 anni dalla nascita di Frida Kahlo, il suo mito è ancora modello di paragone e di imitazione. Un bel film degli anni ’90 con Salma Hayek ne fa conoscere la vita. Consiglio di vederlo. Uno dei pochi casi in cui Hollywood rende giustizia ad una vera diva del Novecento, valente rappresentante dell’arte messicana e “femmina” illustre del comunismo popolare.

Frida Kahlo, autoritrattoLa testarda, l’indomabile, l’audace. Aperta alle influenze esterne, Frida Kahlo era pronta ad assimilare ciò che poteva tornarle utile per la sua creatività.

Nelle foto che Nickolas Muray le scattò tra il 1938 ed il 1941, il colore degli abiti, dei nastri, del famoso rebozo, il mantello color magenta che amava indossare, sono talmente vividi da allontanare in primis l’attenzione dallo sguardo che, invece, nonostante le labbra siano atteggiate ad un sorriso, mostra incertezza. La posizione del capo è altera, ma gli occhi sono due pozze di liquido pronto a sgorgare. Lacrime di tristezza trattenute, che rendono vacuo e perso il suo mirare l’obiettivo.
Numerosi gli autoritratti di Frida Kahlo esposti in sala. In alcuni spine le trafiggono il collo, come i tormenti che le laceravano lo spirito.

Frida Kahlo, Io e DiegoNon parlerò qui dei titoli o della sua biografia. Altri prima di me si sono dilungati oltre ogni dire.
Quello che vorrei trasmettere è ciò che io da visitatrice ho provato.
Un senso di accomunata solidarietà, una comprensione umana per lo strazio fisico e morale, plauso per il genio esecutivo, viva esacrazione verso un uomo che era il centro del suo universo e che l’ha ripetutamente offesa con il suo sfacciato libertinaggio.

Un essere umano, la Kahlo, pronto a fare a botte con la vita matrigna ma desiderando di assaporarne tutte le sfumature, dall’esaltazione al rimpianto.
La sua morte fu anche la sua liberazione. Finalmente poté volare, non più legata ai poveri e martoriati resti, vestigia di un’esistenza densa di luci sfolgoranti come di cupa ombra.

Daniela D’Avino