L’Ordine dei Giornalisti della Campania all’Università degli Studi di Salerno con l’evento Fonti e informazioni istituzionali per il Data Journalism per una giornata di approfondimento e formazione sul Data Journalism civico, su come nasce un’inchiesta.
Data Journalism civico con accento alla comunicazione pubblica e ai linguaggi istituzionali. Al riguardo la dott.ssa Daniela Vellutino, docente all’Unisa di Comunicazione Pubblica e linguaggi istituzionali e curatrice del progetto di DirittoDiAccessoCivico, focalizza l’attenzione sull’obiettivo principale del Data Journalism Civico: metodologie d’indagine e strumenti per il giornalismo che parte dai dati pubblici per fare inchieste sull’uso dei beni comuni e sulla tutela dei diritti di cittadinanza.
Tutela del bene comune e dei diritti fondamentali del cittadino quali quello all’informazione trasparente e alla salute: questo l’arduo compito che investe oggi più che mai il giornalista d’inchiesta. Arduo, non solo per la difficoltà dell’approvvigionamento dati: bisogna smuovere l’opinione pubblica.
Ma qualcosa sta cambiando grazie all’istituto dell’Accesso Civico (art. 5 D. lgs 33/2013) che consente l’accesso alle fonti istituzionali; informazioni che le Pubbliche Amministrazioni devono obbligatoriamente rendere disponibili.
E qualcosa sta cambiando, soprattutto, per quel che riguarda la salute e la sicurezza ambientale. E’ ancora una goccia nel mare… ma può e deve essere il cambio di rotta. Diverse le battaglie intraprese grazie alla costanza e perseveranza di giornalisti o anche di comuni cittadini che non si sono scoraggiati davanti alla sordità delle istituzioni. “Il problema non è solo del Sud – spiega Rosy Battaglia, giornalista di origini siciliane e fondatrice dell’associazione Cittadini reattivi e che ha condotto diverse inchieste su siti contaminati, bonifiche e monitoraggio civico – ma coinvolge l’Italia intera. L’Italia è un Paese da bonificare. Due dati, sottostimati, su tutti: oltre 15000 siti contaminati e oltre 9000000 (9 milioni) di cittadini che risiedono in aree inquinate. La Lombardia è la regione che ha più siti contaminati, seguita dal Piemonte, a causa di industrie ma anche di discariche”. In Campania (dati 2013 e, sicuramente, sottostimati) ci sono 2592 siti potenzialmente contaminati, 359 siti accertati, 183 siti contaminati, 73 siti in bonifica, 12 siti bonificati.
Le Regioni, come previsto e indicato dal D. lgs 152/06, devono provvedere alla redazione precisa e completa dell’elenco dei siti contaminati, alla loro mappatura e al monitoraggio costante dei siti sottoposti ad intervento di bonifica e ripristino ambientale, gli interventi realizzati nei siti medesimi, i soggetti a cui compete la bonifica e gli Enti pubblici di cui la Regione intende avvalersi in caso di inadempienza dei soggetti obbligati.
Il Data Juornalist, quindi, non deve fermarsi all’inchiesta ma deve smuovere la sensibilità dell’opinione pubblica, deve chiedere la collaborazione del cittadino. E viceversa. Il caso Olona, ad esempio, è partito grazie alla quotidiana denuncia di un cittadino che non ci stava ad accettare quel che stava accadendo e, giorno dopo giorno, grazie al continuo post sui principali social network di foto testimonianti il nuovo inquinamento di un tratto varesotto del fiume, è riuscito ad attirare l’attenzione dei media… e via! Le Istituzioni non hanno più potuto far finta di niente e, voilà, caso risolto!
Questa è la strada giusta e il giornalista ha il ruolo principale nell’opera: non deve essere (rubo la citazione al Prof. Sica) la cassa di risonanza del magistrato o dell’ufficiale di turno! Deve informare! C’è bisogno di trasparenza.
Gli strumenti ora ci sono: l’Autorità Nazionale Anticorruzione con delibera n. 148/2014 “Attestazioni OIV, o strutture con funzioni analoghe, sull’assolvimento degli obblighi di pubblicazione per l’anno 2014 da parte delle pubbliche amministrazioni e attività di vigilanza e controllo dell’Autorità” ha, finalmente, imposto l’assoluta trasparenza alla Pubbliche Amministrazioni.
“ Ma la trasparenza – come ha ricordato l’avv. Salvatore Sica, professore ordinario di Diritto Privato comparato all’Unisa e, tra l’altro, direttore del Laboratorio IN.DI.CO. (Informazione – Diritto – Comunicazione) – da sola non basta. Verità putativa? Occhio alla rigorosa verifica di informazioni e dati! Il rischio è la falsità di mezze verità o di verità incomplete ”.
I giornalisti sono portatori di un diritto costituzionale come quello dei cittadini ad essere informati, stabilito dall’articolo 21 (“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. […]”).
I giornalisti possono (e devono) quindi, richiedere le informazioni alle Pubbliche Amministrazioni avvalendosi del diritto di accesso civico, l’istituto giuridico introdotto dal decreto legislativo sull’Amministrazione trasparente, per richiedere i dati pubblici chiusi nelle banche dati delle PA: dati da usare per fare informazione di pubblica utilità. E questo anche grazie al d. lgs. 33/2013.
Può dirsi che il Testo Unico per la trasparenza nelle pubbliche amministrazioni è, oggi, l’art. 5 del d. lgs. 33/2013 del 14 marzo 2013, che oltre al riordino della disciplina sugli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle Pubbliche Amministrazioni, ha introdotto l’istituto dell’accesso civico: la più recente novità per la trasparenza quale principio generale dell’azione amministrativa e strumento del cittadino-utente di azionabilità del diritto alla conoscibilità totale dell’operato della Pubblica Amministrazione.
Se le Pubbliche Amministrazioni non comunicano (che è diverso dall’informare) i cittadini non possono essere sovrani, al massimo possono essere utenti o clienti. Come detto da Giuseppe D’Avanzo: “Il buon giornalismo sa che i fatti non sono mai al sicuro nelle mani del potere e se ne fa custode nell’interesse dell’opinione pubblica”.
L’informazione di pubblica utilità nelle Pubbliche Amministrazioni dovrebbe essere gestita dai comunicatori pubblici.
Ma torniamo al Data Journalism. Il DJ è raccontare storie con i dati, è combinare il fiuto per la notizia con l’abilità nel trattare informazioni digitali.; è un approccio a cavallo tra ricerca scientifica e inchiesta giornalistica che fa uso intensivo di databese, mappe digitali e software per analizzare e raccontare.
Il Data Journalism (DJ), coniugandosi perfettamente col giornalismo civico, fornisce gli strumenti per filtrare l’enorme mole di dati e redarre articoli e servizi a lunga conservazione.
Citando Tim Berners-Lee: “Data-driven journalism is the future. Journalist need to be data savvy” cioè ‘il giornalismo basato sui dati è il futuro. Il giornalista deve essere scaltro’ (sulla trattazione dei dati). Il giornalista, infatti, non deve fare il ‘copia e incolla’ ma deve analizzare con scrupolo e sapienza i dati, comparando anche le diverse fonti disponibili. Il ciclo di vita di un prodotto di Data Journalism può essere così sintetizzato: pianificazione, ricognizione, selezione, elaborazione, visualizzazione, verifica e, quindi, output (cioè la sintesi). Con la pianificazione si deve circoscrivere l’ambito di indagine e districarsi nel mare di fonti disponibile.
E’, infatti, davvero importante saper ‘maneggiare’ e presentare i dati, anche negli uffici stampa di enti pubblici e aziende. Il Data Journalist deve estrarre i dati per rendere gli stessi più fruibili al cittadino medio che dovrà essere messo in grado di esplorarli in modo intuitivo anche attraverso visualizzazioni.
Potrebbe pensarsi che il Data Journalism sia cosa recente, ma così non è. Ad esempio, già nel 1854 il medico inglese John Snow, raccogliendo ed elaborando i dati raccolti, tra cui la dislocazione di fontane pubbliche, nel quartiere di Soho a Londra scoprì che l’epidemia di colera si stava diffondendo tramite l’acqua inquinata. Nei punti, infatti, dove, per la mancanza di fontane pubbliche, gli abitanti bevevano per lo più birra, l’incidenza del colera era drasticamente inferiore: quando la birra salvò la vita!
Al corso di formazione gratuito organizzato dall’Ordine dei Giornalisti della Campania e introdotto da Ottavio Lucarelli, Presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Campania, e Annibale Elia, Direttore del Dipartimento di Scienze Politiche, Sociali e della Comunicazione dell’Università degli Studi di Salerno, hanno partecipato anche il dott. Gianluca De Martino, giornalista del team DataNinja, e il Prof. Vittorio Scarano, docente del Dipartimento di Informatica dell’Università degli Studi di Salerno.
Gianluca De Martino, giornalista esperto in Data Journalism, ha presentato l’inchiesta sui beni confiscati in Italia che ha realizzato, per il Gruppo La Repubblica – l’Espresso, partendo dal laborioso e lungo lavoro di mappatura (e organizzazione per regione, provincia e comune) dei beni confiscati alle organizzazioni criminali e reso fruibile on line sul sito www.confiscatibene.it.
Il Prof. Vittorio Scarano ha, invece, presentato il progetto di ricerca europeo ROUTE-TO-PA condotto dall’Università di Salerno con altri 11 partner di 6 Paesi (Francia, Gran Bretagna, Irlanda, Italia, Olanda e Polonia), finalizzato a migliorare la trasparenza delle Pubbliche Amministrazioni attraverso il coinvolgimento dei cittadini, permettendo loro di interagire in maniera sociale direttamente sugli Open Data messi a disposizione dalle PA.