Secondo il calendario liturgico della religione cattolica, la domenica che precede la Pasqua, si celebra la domenica delle palme. Quest’anno questa festività è caduta proprio ieri che, peraltro, era una soleggiata giornata di primavera.
La domenica delle palme, nella religione cattolica così come anche in quella ortodossa e protestante, si celebra il giorno in cui Gesù Cristo entrò trionfante a Gerusalemme.
In sella ad un asino, Gesù venne osannato dalla folla che lo salutava agitando dei rami di palma e avendo steso per terra i mantelli. Questa domenica, che nel rito romano è detta anche della “passione del Signore”, segna l’inizio della settimana Santa che porterà alla Pasqua.
Contrariamente a quanto molti pensano, la domenica delle palme non coincide con la fine della Quaresima che, invece, terminerà con la celebrazione dell’ora nona del giovedì Santo, momento in cui si darà avvio al cosiddetto triduo pasquale: tempo centrale dell’intero anno liturgico.
Inizia, quindi, domani la settimana Santa, che per un cristiano è o dovrebbe essere un periodo di massima immersione nei precetti correlati al periodo di Quaresima e di Pasqua. Durante questa settimana, infatti, si celebrano gli eventi correlati alla passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo. Una settimana, dunque, nella quale emerge una forte carica emotiva esternata soprattutto attraverso la partecipazione a diversi riti che, in ogni parte d’Italia e del mondo cattolico, sono diventati anche dei momenti folkloristici e tradizionali.
La Pasqua, infatti, è sì il momento più importante dell’anno liturgico da un punto di vista strettamente correlato alla fede, ma è anche il periodo cattolico delle tradizioni per eccellenza. Da nord a sud, in tutta Italia, la settimana Santa si susseguono processioni, rappresentazioni e messe in scena a cui partecipano spesso, in effetti, non soltanto i ferventi cattolici ma anche atei, miscredenti o più semplicemente coloro che si reputano cattolici pur non mettendo piede in una chiesa probabilmente dall’ultimo sacramento ricevuto.
Il periodo che ci accompagna verso la Pasqua è, quindi, principalmente un periodo di tradizioni: di riti e funzioni, come già anticipato, ma anche tradizioni celebrate ai fornelli e consumate in tavola. E dal momento che manca solo una settimana, vogliamo qui ricordarne alcune tra le più affermate con una sorta di top five in cui, però, forse assegnare delle posizioni non è poi così corretto.
Quando si pensa alla Pasqua, sicuramente non si può non pensare all’uovo, detto appunto “di Pasqua”. Un pensiero e una tradizione che ci accomuna tutti da nord a sud, da 0 a 100 anni e più. Certo, forse la tendenza è quella di mantenere viva questa tradizione regalando le uova di cioccolato ai bambini, ma c’è un nutrito fan club dell’uovo di Pasqua composto da adulti di ogni età. D’altronde, cioccolato più sorpresa rendono questo dono irresistibile. La simbologia dell’uovo ha origini ben più antiche delle varie Kinder, Lindt e compagnia varia.
Fin dal medioevo, infatti, nelle più disparate e lontane parti del mondo, l’uovo ha rappresentato un simbolo di vita e di sacralità: si riteneva, per esempio, che il cielo e il pianeta fossero due emisferi che, se congiunti, andavano a formare un uovo oppure presso gli Egizi, si pensava che l’uovo fosse il fulcro dei quattro elementi che compongono l’universo, una sorta di contenitore per acqua, aria, terra e fuoco. E già gli antichi Persiani avevano introdotto la tradizione dello scambio delle uova. In quel tempo, si trattava di uova vere di gallina, che venivano decorate e poi scambiate in coincidenza con l’arrivo della primavera. Per il cristianesimo, invece, esiste una simbologia che lega l’uovo direttamente alla vita e una rielaborazione per cui in esso si ritrova il simbolo del Cristo risorto. L’uovo, infatti, assomiglierebbe a un sasso privo di vita proprio come il sepolcro di pietra nel quale fu sepolto Gesù. Dentro l’uovo, inoltre, c’è sempre una nuova vita pronta a sbocciare da ciò che sembrerebbe in prima battuta morto. La vita interna all’uovo, chiaramente, sarebbe quella del pulcino che non troviamo nell’uovo di cioccolato pasquale. La sorpresa, però, è spesso una degna sostituta.
In seconda posizione, se non in prima a pari merito con l’uovo, c’è poi la colomba pasquale. Anche in questo caso, sebbene a saziarsi sia la nostra pancia, il simbolo della colomba ha un forte legame con la religione, forse anche in misura maggiore rispetto all’uovo. La colomba, infatti, può avere da un punto di vista religioso ben due significati: in uno, la colomba rappresenta il Cristo portatore di un messaggio di pace a tutto il mondo; nell’altro, invece, la colomba è il simbolo dello Spirito Santo che scende sulla Terra e su tutti i fedeli grazie al sacrificio del Redentore. D’altronde, il simbolo della colomba è molto diffuso anche in gran parte dell’arte di matrice cristiana. Da qui, quindi, la tradizione di portare la colomba in tavola, dove le tradizioni più affermate al riguardo sono due: la colomba “milanese” inventata negli anni ’30 del 1900 in Lombardia da quella che poi diventerà la famosa Motta e la colomba pasquale di origine siciliana chiamata anche “palummedda” o “pastifuorti”. La diffusione di questi due dolci simbolo è comprovata dalla loro iscrizione nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani stilata dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali. La colomba milanese è, di fatto, molto simile al panettone classico per quanto riguarda l’impasto. L’elemento che la differenzia e che la caratterizza come dolce è la copertura di glassa e mandorle. Come avviene per molti dolci, anche la colomba pasquale nel tempo ha conosciuto numerose varianti e oggi, infatti, vengono prodotte colombe per tutti i gusti: l’unica costante è la forma. La colomba che vola sulle tavole della Sicilia, invece, è un dolce a pasta forte che viene realizzato con un impasto composto da farina doppio zero, zucchero e cannella. In questo caso, invece, ci si sbizzarrisce anche sulla forma. La più classica naturalmente ha la forma della colomba, ma esistono anche le varianti con la forma di galletto o con forme anche estranee al mondo animale che vengono poi sempre decorate con disegni vari. L’aria specifica di provenienza è la zona del ragusano e più precisamente quella dei Monti Iblei.
Ed eccoci all’agnello. Innanzitutto, bisogna dire che nella tradizione prettamente cattolica, l’agnello pasquale è il simbolo del figlio di Dio, Gesù Cristo. L’epiteto “agnello”, riferito a Gesù viene usato così tante volte nelle Sacre Scritture che alla fine diviene un simbolo così forte che la Chiesa ne fa uno stemma. Una domanda a questo punto sorge spontanea: perché se l’agnello rappresenta Gesù, viene consumato il giorno di Pasqua che è il giorno in cui Gesù in realtà risorge? Semplice, perché l’agnello come tradizione pasquale non ha nulla a che fare con il cristianesimo. La tradizione di consumare l’agnello a Pasqua deriva, invece, dall’ebraismo. Nella Pesach o Pasqua ebraica, il consumo di agnello fa riferimento all’episodio in cui Dio annunciò che avrebbe liberato il popolo di Israele dalla schiavitù dicendo: “In questa notte io passerò attraverso l’Egitto e colpirò a morte ogni primogenito egiziano, sia fra le genti che tra il bestiame”. A questo proposito, Gesù ordinò al popolo d’Israele di marcare le loro porte con del sangue d’agnello in modo che lui fosse in grado riconoscere chi colpire col suo castigo e chi no. Se l’agnello vi piace, che importa dell’origine della sua tradizione? Mangiatene a volontà, dunque, anche questa Pasqua. Astenersi vegetariani.
Più marcata regionalmente, ma comunque diffusa ormai e apprezzata dai palati di tutta Italia c’è poi la pastiera napoletana. Immagino i lettori con l’acquolina in bocca alla sola lettura del suo nome. Anche in questo caso, come per la colomba, parliamo di un piatto che è stato inserito nell’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali con riferimento alla regione Campania. D’altronde in fatto di cucina e tradizioni, i napoletani non hanno sicuramente nulla da invidiare agli altri né nulla da temere. Per quanto riguarda la tradizione della pastiera, c’è una leggenda che vuole la sirena Partenope creatrice di questo dolce. Il suo legame con la Pasqua deriva probabilmente dalle feste pagane e dalle offerte votive del periodo primaverile che poi, in effetti, coincide nella maggior parte dei casi con la celebrazione pasquale. In particolare, la leggenda è probabilmente legata al culto di Cerere le cui sacerdotesse portavano in processione l’uovo, simbolo di rinascita come già visto precedentemente. La ricetta attuale della pastiera napoletana fu perfezionata proprio nei conventi e divennero celebri quelle delle suore del convento di San Gregorio Armeno.
Infine, un’ultima tradizione molto legata al territorio è la colazione pasquale o colazione romana. A dispetto del nome che la vede fortemente legata al solo territorio della capitale, in realtà, la colazione di Pasqua viene consumata in tutto il Lazio e auspicabilmente anche nelle altre regioni, perché si tratta di regalarsi un risveglio all’insegna di una vera e propria festa per le papille gustative. La colazione di Pasqua non è che un’anteprima del pranzo, ma è un’anteprima molto abbondante che comprende sia portate dolci che salate. Il primo requisito della colazione pasquale romana è la tovaglia in tavola, che deve essere in fiandra bianca o anche in lino o altri tessuti. La tovaglia è bianca, perché ricorda la tavola che si preparava nei tempi antichi per la benedizione del sacerdote. Le vivande, invece, che compongono la colazione rappresentano la giusta ricompensa per i sacrifici sopportati durante tutto il periodo di Quaresima. Sebbene non esistano delle linee guida precise per il menu, l’importante è che sia molto ricco, che ci siano le uova di cioccolato e poi: torta Pasqualina, salame corallina (un salame morbido, la cui buccia è composta da budello di maiale), uova sode spesso anche dipinte, coratella con i carciofi o le cipolle e comunque un bel caffè per svegliarsi. Un vero e proprio piacere per godere del quale, però, occore quasi armarsi di un’abbondante dose di coraggio. E, inoltre, la vera sfida sarà poi riuscire ad affrontare anche il pranzo.
C’è tanto tanto altro naturalmente, ma queste sono le cinque tradizioni culinarie pasquali più conosciute e, quindi, da conoscere se non ne eravate mai entrati in contatto. Abbiamo poi fatto accenno anche all’esistenza dei riti e funzioni religiose pasquali, ma dopo aver parlato di tutto questo cibo, forse è meglio rimandare la questione a un’altra “puntata” e intanto mettere le mani in pasta per iniziare a prepararsi alle grandi abbuffate in cui ci immergeremo tra pochi giorni.