La Madonna con il Bambino e Maria Maddalena è uno dei capolavori di Tiziano (all’anagrafe Tiziano Vecellio) e, certamente, una delle opere più care al grande artista veneto. Tiziano, artefice del rinnovamento della pittura basato sull’uso personalissimo del colore, nacque a Pieve di Cadore nel 1490 e morì a Venezia il 27 agosto 1576.
Nel 1850 è lo zar Nicola I ad accaparrarsi la celebre collezione di quadri di Domenico e Alvise Barbarigo a San Polo, proveniente da palazzo Barbarigo della Terrazza a Venezia. Una collezione divenuta famosissima soprattutto grazie a un nucleo impressionante d’opera di Tiziano.
Gli scritti di Ridolfi e di Boschini sulla collezione, che sottolineavano in particolare le opere del pittore bellunese, contribuirono a fare di palazzo Barbarigo dalla Terrazza, nel Settecento, uno dei luoghi di maggiore attrazione a Venezia, che appassionati e nobili viaggiatori si sentivano in dovere di visitare: l’abate Cochin, famosissimo esperto e incisore francese, scrisse in proposito che la galleria veniva chiamata “scuola di Tiziano”.
I quadri più pregevoli del Maestro allestivano le sale da parata lungo il perimetro della terrazzo e, tra questi, quattro erano di soggetto religioso: «Magdalena famosis nel deserto», «Cristo portacroce con Simone Cireneo», «San Sebastiano in piedi» e appunto la «Madonna col Bambino e Maria Maddalena».
Secondo l’opinione affermatasi nella storiografia veneziana di quel tempo, questi quadri erano entrati a far parte della galleria in circostanze del tutto particolari. Nel 1581 il patrizio veneziano Cristoforo Barbarigo aveva infatti acquistato da Pomponio Vecellio, figlio minore di Tiziano, defunto nel 1576, la casa del Maestro cadorino in Calle dei Biri nel Sestriere di Cannaregio, con tutto quanto conteneva, compresi i quadri, che si trovavano sia nell’abitazione che nello studio.
I documenti relativi all’acquisto della casa in Calle dei Biri furono scoperti e pubblicati nel 1833 da Giuseppe Cadorin e ciò rafforzò ulteriormente la già salda convinzione dell’eccezionalità della provenienza dei lavori di Tiziano della galleria Barbarigo: nella monografia di Crowe e Cavalcaselle, uscita nel 1877, la storia dei dipinti viene presentata come un fatto inconfutabile.
Tra i tanti visitatori che avevano ammirato la collezione Barbarigo non mancarono personalità russe e tra queste nel 1782 anche i conti “Severnye” (“del Nord”) in visita a Venezia: l’erede al trono il Granduca Pavel Petrovič e la consorte Maria Fëdorovna. Anch’essi, passando da un festeggiamento all’altro, non tralasciarono di vedere i quadri di Tiziano.
Scrive Irina Artemieva nel suo saggio, nel catalogo della mostra: “É possibile che Maria Fëdorovna abbia raccontato ai figli di questa visita e i ricordi si siano conservati nella memoria di Nicola I, ma è ancora più probabile che la decisione di acquistare la galleria Barbarigo sia stata influenzata dalle vive impressioni che il figlio maggiore dell’imperatore, Aleksandr Nikolaevič, aveva ricevuto dal viaggio in Europa compiuto negli anni 1838-1839 in compagnia del suo educatore, il famoso poeta Vasilij Zhukovskij”. Tra le mete preferite: Venezia; e nei suoi diari i commenti alle opere tizianesche.
Certo è che quando fu nota la decisione della famiglia Barbarigo di vendere la collezione, preannunciata dalla pubblicazione del suo catalogo, il console generale dell’Impero Russo a Venezia, conte Aleksandr Chvostov – il 23 febbraio 1850 – si rivolse al ministro di corte con la proposta di: “approfittare della felice possibilità che si offre e che potrebbe non ripetersi”.
Una volta giunta all’Ermitage l’opera, insieme alle altre, venne ridipinta con pesanti vernici giallastre che ne hanno condizionato la lettura nei primi studi dedicati, limitando il giudizio sulla sua qualità.
Nonostante ciò, gli studiosi più recenti – Rodolfo Pallucchini, Harold Wethey, Tatiana Fomichova, Wilhelm Suida, Vilmos Tàtrai, per citarne alcuni – hanno considerato il dipinto capostipite di tutta una serie di varianti autografe e copie di bottega, conservate oggi nei musei di tutto il mondo e in varie collezioni private.
L’opera si situa intorno agli anni ‘50 del Cinquecento, quando oramai Tiziano sperimenta una pittura di tocco estremamente libera, poco interessata alla definizione grafica dell’immagine e assai più rivolta a una stesura preziosa e cromaticamente molto sofisticata, fatta di strati sovrapposti di stesure differenti; ma è il recentissimo restauro condotto dal Museo Statale Ermitage, durato due anni e ultimato nel 2016, a rivelare l’assoluto capolavoro realizzato da Tiziano.
IL RESTAURO del dipinto
La Madonna con il Bambino e Maria Maddalena
Realizzato da Serghej Kisseliov, uno dei più noti specialisti dell’Ermitage, l’intervento di restauro ha dato esiti assolutamente eccezionali restituendo l’originaria brillantezza cromatica e dettagli imprevedibili, come lo straordinario manto blu oltremare naturale che copre il capo della Vergine e che poteva essere trattato solo da un Maestro con grandi abilità tecniche.
Nessuno si sarebbe atteso colori così intensi e tale bellezza di particolari: il volto della Madonna di tenerissima carnagione rosea, sottolineata dall’ombra celestina del suo velo, il velo stesso, il passaggio dall’ombra alla luce sullo sfondo della Madonna, che conferisce profondità.
A testimonianza dell’attenzione portata alla stesura pittorica, si segnala egualmente che Tiziano ha impiegato tre diversi tipi di pigmenti blu per il manto. Le indagini a infrarosso e ai raggi X hanno confermato che ci sono stati pentimenti e varianti soprattutto nella posizione della Maddalena.
Come altre opere del periodo maturo di Tiziano, l’opera è caratterizzata da un fondo realizzato attraverso una mistura di pigmento terroso e ferroso (ocra) con biacca legati insieme dall’olio; l’imprimitura è assente, gli strati di colore sono stati applicati direttamente sul fondo e legati insieme con olio di semi di lino.